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Fico e le “aree interne”: condannato al silenzio?

Salvare le civiltà dell’Appennino è essenziale per il futuro del Paese del Sud

Fico e le “aree interne”: condannato al silenzio?

Roberto Fico

Tra la fine di luglio e l’inizio di agosto, mentre le carovane di turisti erano già in viaggio per raggiungere località marine e di montagna secondo le varie preferenze, 139 tra cardinali, arcivescovi, vescovi e abati, riuniti nel “Forum annuale Pastorale”in una lettera diretta al Governo e al Parlamento, hanno lanciato un accorato appello sull’agonia delle “aree interne”, affette da un male endemico, percepibile a occhio nudo: lo spopolamento.

Stavolta però le parole della Chiesa non sono felpate, secondo la nota tradizionale cautela, ma energiche nel denunciare con forzalo scenario triste di queste aree. Al punto tale, per dire le cose come realmente stanno, da dovere riportare qui pari pari il titolo dell’Obiettivo 4 della Strategia Nazionale da disfatta, in cui si prefigura per le aree interne addirittura “l’accompagnamento in un percorso di spopolamento irreversibile” e il conseguente invito alle istituzioni ai vari livelli di doversi “mettere addirittura al servizio di un “suicidio assistito di questi territori”.

Parole da brividi solo ad accennarle ma ancora più preoccupanti per l’indifferenza e il silenzio dei destinatari, sul cui conto non guasta una breve sintesi storica per chiarire perché si è giunti a tanto.

Ogni qualvolta si parla di spopolamento, si ha la sensazione che sia una criticità odierna, da mettere nel novero di tante altre. È odierna, però parte da lontano, risale a tre flussi migratori fine‘800, primo ‘900 e ai più dolenti degli Anni ’50 e ’60, per una grave contraddizione di quegli anni.

Perché nel 1950, mentre la Cassa per il Mezzogiorno dotava queste aree d’infrastrutture per favorire pioneristici insediamenti industriali, il mancato controllo degli esodi verso il Nord e le Americhe, portò alla desertificazione dei paesi facendo saltare tutto.

La più grande delusione sono state le Regioni - nate per realizzare un serio decentramento rispetto al chiuso e tanto deprecato centralismo del vecchio Stato post-risorgimentale - che hanno fatto l’opposto, badando al loro accentramento.

“L’attuazione dell’ordinamento regionale nella sua concreta gestione - scriveva un lungimirante Fiorentino Sullo -doveva costituire un’occasione storica insostituibile per la formazione di una classe dirigente adulta.

Era giunto il momento di inquadrare e affrontare direttamente lo sviluppo della realtà meridionale, lasciandosi alle spalle le querule richieste di provvidenze mandate al governo, per imboccare un'altra e peggiore strada: quella dei poteri regionali, traditori dello spirito fondativo della Regione”.

Il regionalismo, di per sé rivoluzionario, rispetto alla tradizione meridionale, rimase un miraggio nel senso di formazione e rinnovamento della classe dirigente ed eliminazione delle clientele e delle consorterie, riducendosi a un angusto “panregionalismo”. Che fece infuriare Francesco Compagna, scorgendovi allarmanti sintomi degenerativi.

Per quanto riguarda la Regione Campania, dal 1970 a oggi, in 55 anni di governi regionali, il centrodestra ha governato la Regione soltanto 9 anni, 4 con la presidenza Rastrelli dal 1994 al 1999, e 5 con Caldoro dal 2010 al 2015. Nei restanti anni, cioè ben 46, si sono succeduti governi di centrosinistra e sinistra con presidenze Dc, Ds e Pd.

Roberto Fico, che ha costruito le sue fortune politiche attaccando i partiti appena detti con un linguaggio insultante e oggi sono suoi alleati, decisivi per fargli conquistare la presidenza della Regione, nel suo viaggio elettorale in queste aree critiche che cosa dirà e prometterà? Dovrà pur dire qualcosa sulle responsabilità a monte di irreversibili amari declini di territori, le cui radici risalgono ai valorosi popoli Italici, i primi che si ribellarono all’autorità, al centralismo di Roma?

Il modello Napoli non è un esemplare modello di coerenza e di governo come si vorrebbe far credere ma è, per usare un termine molto caro a Giuseppe Marotta, la quintessenza di due astuzie del Movimento 5 Stelle, trasformato da Conte “a 5 stelle”, e da un Pd che, si sa, senza poltrone perde le staffe.

Salvare le civiltà dell’Appennino è essenziale per il futuro del Paese del Sud; l’Appennino è il serbatoio di quell’anima contadina di sobrietà e di sacrificio, che ci ha permesso di superare le crisi economiche in ogni tempo; l’Appennino è il luogo in cui per secoli non ci si è consegnati alla rassegnazione o al risentimento.

Nessuno vuole che oggi Fico vada inchiodato per una pesante dichiarazione del passato, quando disse: “Per noi il Pd è il pericolo numero uno del Paese. devastato dalle indagini e dalle condanne”. Oggi la sua condanna è questa: se vuole vincere, deve tacere.

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