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L'intervento
22 Settembre 2025 - 09:30
Robert Redford
Dopo le ultime morti nostrane di personaggi pubblici di successo - in ordine di tempo, e ritenendo escluso il contributo della rilevanza, Alvaro Vitali, Pippo Baudo e Giorgio Armani - è arrivata anche quella internazionale, ed è di uno dei più grandi attori della storia del cinema, Robert Redford.
Ottantanove anni splendidamente portati fino agli ultimi giorni di vita, un giusto - come lo avrebbe certo definito Jorge Luis Borges per l'amore e il rispetto che portava al suo mestiere - in un mondo come quello del cinema dove i buoni uffici e l'apparenza prima o poi le paghi se non hai sostanza, ma l'intelligenza e il buon gusto non sono necessariamente requisiti indispensabili, Bob (come amavano chiamarlo le amiche e gli amici più cari) aveva avuto dalla sua parte nella sua sessentennale carriera due grandi qualità, era bello da togliere il fiato, perfino indipendentemente dai genetliaci accumulati, ed era talmente bravo da non aver bisogno di dimostrarlo.
La seconda dote - se hai la fortuna di averla - strada facendo talvolta si arricchisce, per una rarissima alchimia difficile da decifrare, anche di carisma, spessore, pensosità e lungimiranza, come se chi recita possa vedere talmente oltre da diventare un vate, un indovino e un mago. Ecco lui univa alla fortuna di essere bello la capacità quasi irripetibile di camuffarlo, facendone parte integrante di un'anima umile, attenta e meravigliosa.
Profondamente legato ai temi della Terra e alla consapevolezza che a ogni uomo spetta la sua parte, per quanto difficile da sostenere o difendere, nei suoi quasi 60 film da attore e in quella decina di lungometraggi da regista non ha mai - e ripeto mai - tradito sé stesso, o quantomeno quella parte di sé che aveva voluto ostinatamente coltivare fino a farne la sua ragione di vita.
L'ho immensamente ammirato e amato almeno in una quindicina di film e vederlo recitare, sostenendo ragioni che non erano solo attoriali, ma sembravano ogni volta di più etiche e politiche (nel virtuoso senso di rappresentare i bisogni e le istanze di una polis affatto elitaria e statica), mi ha reso - non ridete vi prego - migliore, se non altro per una civettuola aspirazione ad imitarlo, assomigliargli, ricalcarlo.
Come se riproducessi la scena finale di uno dei suoi splendidi film (attore o regista non cambia), senza l'enfasi bogartiana di Casablanca, ma ora col sorriso indulgente del "perdono", ora con quello sfrontato di chi sta per dare una "stangata" a uno che se la merita tutta, ovvero ancora con quello furbescamente libero ed eternamente bambino di un bandito che guarda il suo grande sodale (Paul Newman, scusate se è poco) prima dell'ultima mortale sfida, l'ennesimo imperdibile istante di vita.
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