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L’OPINIONE
25 Settembre 2025 - 15:59
Passeggiare in un centro storico e vedere le serrande abbassate è come guardare un cuore che batte sempre più piano. Le botteghe che un tempo illuminavano strade e piazze sono scomparse, travolte dalla concorrenza dei centri commerciali e dall’e-commerce che consegna in un giorno ciò che un negoziante offre con fatica e sacrificio.
Non è solo un problema economico: è un colpo alla nostra identità, alla sicurezza, alla vita quotidiana delle comunità. Dove i negozi chiudono aumentano degrado e insicurezza, le vie diventano deserti urbani, i centri storici perdono anima e memoria. Non possiamo rassegnarci a città ridotte a scenografie vuote per turisti mordi e fuggi.
Servono misure forti e immediate: detassare chi tiene aperta una bottega in centro, ridurre drasticamente le imposte locali, premiare i proprietari che praticano affitti calmierati, sostenere con contributi a fondo perduto chi investe in ristrutturazioni, innovazione digitale, efficienza energetica.
Bisogna regolamentare gli affitti per impedire speculazioni che soffocano le piccole attività, trasformare i locali sfitti in spazi agevolati per giovani artigiani e start-up, riconoscere ufficialmente le botteghe storiche come patrimonio culturale e promuoverle come parte integrante dell’offerta turistica e identitaria.
Occorre rigenerare i centri con illuminazione, trasporti accessibili, spazi pedonali, eventi culturali che riportino vita nelle strade. Ma soprattutto serve una rivoluzione di mentalità: scegliere di comprare sotto casa non è un gesto nostalgico, è un atto politico, un investimento collettivo nel futuro della città.
Ogni scontrino in un negozio di quartiere è un mattone che difende sicurezza, occupazione, bellezza. O agiamo ora o ci ritroveremo a camminare in centri storici svuotati, ridotti a cartoline senza vita. Le botteghe sono la luce delle città: se si spegne quella, si spegne tutto.
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