Cerca

L'analisi

Condono edilizio pronto: occorre cambiare registro

Una normativa di sanatoria serve a sanare e dunque deve pensare a questo, ben sapendo che ci saranno dei danni per la collettività

Condono edilizio pronto: occorre cambiare registro

Si parla ormai da qualche tempo della circolazione d’una bozza di disegno di legge in materia di condono edilizio, prossima ad essere presentata in Parlamento per affrontare il tema eterno dell’edilizia abusiva in Italia. È chiaro che ci si trova da decenni dinanzi ad un fenomeno che ha rilevanza sociale.

E, differentemente da quanto si crede, non ha una caratterizzazione territoriale, ma riguarda l’intera oblunga Penisola. In Italia si sono succedute ben tre leggi di condono negli ultimi 40 anni: la 47/1985, che aprì la serie quando ministro dei lavori pubblici era il socialdemocratico Franco Nicolazzi; la 724 del 1994, ed infine la 326 del 2003.

Leggi complicate, leggi che, in luogo di stabilire uno spartiacque tra il prima e il dopo, hanno accompagnato la chimera della sanatoria ad una ragnatela di vincoli e distinguo, che hanno impedito il raggiungimento dello scopo: che in ogni seria, quando ragionata, normativa di sanatoria, ha l’obiettivo di riallineare la realtà fattuale al paradigma legale.

È infatti del tutto evidente che se un fenomeno di diffusa illiceità s’è sviluppato al punto tale da dover costringere il legislatore a prenderne atto, abbassare le armi ed a reintegrarlo nel suo campo, reintegrando sé stesso, riconoscendolo insomma come compatibile al suo essere, significa che quel fenomeno, non solo ha assunto una dimensione tale che non è più possibile ignorarlo perché ha un rilevante tasso di normalità, ma è anche un fenomeno che non è stato contrastato per tempo con adeguate misure di reazione, per cui ha fatto ‘da esempio’, è cioè divenuta una pratica condivisa rispetto alla quale il diritto non ha potuto nulla.

Dinanzi a questi dati che possono dirsi storici ed anche connotanti un certo modo d’interpretare la cittadinanza, indubbiamente è necessario reagire con una buona dose di fermezza: epperò considerando quello che è già avvenuto e che vede coinvolte categorie di cittadini molto ampie, spesso e volentieri del tutto estranee al prodursi dell’abusivismo e vittime a loro volta della confusione tra lecito ed illecito che nel tempo si è sedimentata, rendendosi riconoscibile solo ad particolari esperti.

Quando realtà che si vanno spontaneamente creando per varie e spesso moralmente giustificabili ragioni (diritto e morale differiscono) non sono tempestivamente contrastate, la ricorrenza del loro accadere dilaga, diviene esempio, sconfina nella condotta accettata dalla comunità. Ed allora due sono le possibilità: o v’è la possibilità di repressione (tempestiva) puntuale, o v’è la necessità di voltare pagina.

La repressione puntuale significa che si dovrebbe essere in grado di riportare la legalità in maniera capillare: demolendo tutto ciò che è abusivo, in modo da far trionfare la legge. Questo, con il livello capillare che ha raggiunto il fenomeno dell’abusivismo, semplicemente non è più possibile. Tutto quel che può accadere è che di tanto in tanto si riesce a portare ad esecuzione una demolizione, con scelte più o meno discutibili, maquel che rimane nella coscienza collettiva è il senso dell’arbitrio: cioè, guai a chi ci capita, tanto nella gran parte dei casi la si fa franca.

In altri termini, lo Stato non si presenta nelle vesti dell’attuatore della legge eguale per tutti, bensì del bullo che per farsi bello, di tanto in tanto ‘dà l’esempio’. Ma è un cattivo esempio. Basti pensare che a distanza di 40 anni dalla legge del primo condono, non dico non si sono riusciti a demolire gli immobili non condonabili ma – fatto assai più esemplare della debolezza delle istituzioni – nemmeno s’è riusciti ad esaminare le domande di condono, per tema che, non potendosi accogliere le richieste, si sarebbe dovuto provvedere alle successive, impossibili demolizioni.

Evidente che una tale situazione non è più sostenibile. Non c’è sistema giuridico credibile che possa per tanto lungo tempo tollerare l’illecito dilagante e dilagato, senza smentire sé stesso. Anche perché l’abuso edilizio è trattato alla pari del reato di omicidio: è imprescrittibile. Lo Stato può mostrarsi incapace di reagire in eterno al consumo illecito del territorio, ma in eterno questo consumo sarà in teoria punibile.

Con l’effetto del tutto paradossale di condannare lo Stato alla condizione dell’imbelle, o del velleitario che sogna castelli per aria ma non è in grado di coltivare il terreno che ha sotto i suoi piedi. I risultati, in termini d’immagine per il cittadino comune, non è difficile prefigurarseli: in luogo di fare da prevenzione con sanzioni effettive e sperimentabili, le norme di legge si sottopongono allo zimbello ed al pubblico ludibrio o, nella più concessiva delle ipotesi, non spiegano quella funzione dissuasiva per la quale solo esistono e si giustificano le sanzioni previste per il caso della violazione delle regole giuridiche.

Dovrebbe quindi essere bene accetta una normativa che permetta di stabilire un prima ed un dopo in materia di attività edilizia abusiva. Ma una normativa del genere non può effettuare troppi distinguo, non può creare una molteplicità di situazioni tra le quali chi dovrebbe darle attuazione sarebbe chiamato a districarsi, magari assumendo anche responsabilità di vario genere.

Una normativa di sanatoria serve a sanare e dunque deve pensare a questo, ben sapendo che ci saranno dei danni per la collettività, ma danni che sarebbero compensati per quella disciplina dell’indomani che dovrebbe essere draconiana e comportare elevatissime conseguenze per chi realizza altri abusi – con i mezzi odierni intercettabili all’istante – e chi, i funzionari preposti, non reagisca immediatamente. Altrimenti, saremo sempre alla casella di partenza, quella nella quale ci troviamo impallati da un quarantennio.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Commenta scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Il Roma

Caratteri rimanenti: 400

Logo Federazione Italiana Liberi Editori