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IL NOSTRO POSTO
01 Ottobre 2025 - 09:28
Roberto Fico
Il garantismo sarà sempre un costante faro di riferimento per la mia azione sociale e politica. Del resto, lo racconta per me la mia storia personale innanzitutto di giurista e avvocato, per la quale la presunzione di innocenza è un principio irrinunciabile e indiscutibile.
Proprio per questo motivo mi ha fatto nuovamente riflettere un episodio di cronaca che ha avuto un primo epilogo giudiziario con la condanna ad 8 anni per violenza sessuale di Ciro Grillo, il figlio del fondatore del Movimento 5 Stelle. Un silenzio assordante ha accompagnato la sentenza. Ed è difficile non ripensare agli slogan giustizialisti che per anni sono stati lanciati in tante occasioni, oltre che da buona parte della sinistra, proprio dal M5S.
Difficile dimenticare i toni e gli atteggiamenti forcaioli coi quali questi presunti fustigatori dei costumi e alfieri della morale si sono presentati sulla scena politica del Paese. Difficile negare il loro doppiopesismo peloso: quando a essere interessato da un’inchiesta, a essere raggiunto da una misura cautelare o a essere condannato è qualcuno che non la pensa come loro, si alzano grida e si evocano epurazioni e gogne preventive. Quando capita a uno dei loro esponenti, dei loro amici o dei loro parenti, tutto tace.
Ebbene, è accaduto anche stavolta: i campioni della doppia morale, affiancati dai loro novelli sodali del Pd, hanno fatto finta di non accorgersi di nulla. Qualcuno dirà che Beppe Grillo ormai non è più la guida del Movimento, ora in mano a Giuseppe Conte. Ma si può così disinvoltamente dimenticare che il principio dell’attacco feroce e incondizionato all’avversario politico - introdotto come regola d’ingaggio dal fondatore - resta il pilastro su cui si regge ancora quel partito?
La verità è che abbiamo avuto l’ennesima riprova che le bandiere dell’onestà, della trasparenza e dei comportamenti esemplari da imporre agli altri sono state ripiegate mestamente e senza vergogna. Sostenere tutto e il contrario di tutto, smentire coi comportamenti concreti tutto quello che si afferma, perseguire solo i propri interessi, ricercare spasmodicamente una poltrona non è forse il comportamento della “casta”?
Insomma, i 5S sono passati dal profumo di giglio alla puzza di zolfo! Anno dopo anno tutti i proclami di integrità morale sono stati sistematicamente rinnegati e stracciati, come le “regole”, per anni scandite come dogmi e dimostrazione della loro “diversità”. Ma non è solo il caso di Grillo.
Si è forse dimessa l’Appendino, sindaco di Torino condannata per un grave reato, o la Raggi raggiunta da numerosi avvisi di garanzia quando era sindaco di Roma? Sono andati a casa gli esponenti politici 5S pizzicati in varie inchieste? Nessuno, che io ricordi. Ma non è solo questione di giustizia a due velocità.
L’ipocrisia taglia trasversalmente l’intera condotta del M5S. Ve la ricordate la “pasionaria” Paola Taverna? Si scoprì che la madre occupava una casa popolare senza averne titolo né diritto. Spostandoci in Campania, come dimenticare il caso del papà di Luigi Di Maio, che ammise di aver fatto lavorare senza contratto, operai nella sua ditta edile?
A far emergere il caso fu la trasmissione televisiva “Le Iene”, la stessa che portò alla luce anche la vicenda della colf che lavorava in nero a casa della fidanzata di Roberto Fico, abitazione in cui l’allora presidente della Camera soggiornava abitualmente quando tornava a Napoli nel fine settimana.
Fico arrivò a sporgere querela, ma i giudici gli diedero torto: la trasmissione aveva detto la pura e semplice verità. E che vogliamo dire dei rimborsi elettorali trattenuti da molti loro parlamentari per comprare case, dei fondi pubblici accaparrati per le loro consulenze, dei “lavori” e degli incarichi lucrosi miracolosamente ottenuti per essersi seduti sugli scranni del Parlamento? Per non parlare del tetto dei 2 mandati elettivi.
Hanno agevolmente abbattuto il no alla “politica di professione” non appena i loro “pezzi grossi” hanno temuto di restare fuori o hanno capito che potevano acchiappare una poltrona importante com’è il caso di Roberto Fico candidato alla presidenza della Regione Campania.
Ebbene, con questo fardello sulle spalle, parlare di onestà, legalità e trasparenza anche in occasione delle elezioni regionali in Campania appare francamente ridicolo. Per non parlare del pressappochismo e dell’incompetenza, forse il più noto marchio di fabbrica della politica a 5S.
Dai banchi a rotelle, alle gaffe di Toninelli, ai congiuntivi improbabili di Di Maio, la “storia” del Movimento è un monumento all’incapacità, che puntualmente affiora ogni volta che uno di loro apre la bocca. Prendete il candidato del “patto del pappaFico” che vuole chiedere i casellari giudiziali ai candidati come espressione di trasparenza e di legalità, senza sapere che si tratta di un obbligo sancito da una legge (3/2019) che lui mise ai voti da presidente della Camera.
O al suo “primo atto” di voler chiudere il termovalorizzatore di Acerra ignorando che quotidianamente brucia oltre la metà dei rifiuti prodotti dall’intera Campania, i quali, con lo stop all’impianto, sommergerebbero le nostre case in pochi giorni. Altro che onestà: la cinica ipocrisia che questi signori continuano ad esercitare nei confronti dei cittadini del Nostro Posto, semmai è disonestà.
Perché l’onestà non si risolve nell’urlare la parola nelle piazze per aizzare l’uditorio contro l’avversario politico, ma si coltiva e si afferma nel quotidiano, con i fatti, con comportamenti specchiati, accompagnata dal dire le cose come stanno in realtà, senza vendere fumo e illusioni, ma rispettando chi ci ascolta. Meditate gente, meditate.
*Capogruppo della lega nel Consiglio regionale della Campania
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