Cerca

IL PUNTO

Se l’Europa si decidesse ad armarsi di realpolitik

Rutte non può ignorare ch’è dall’estate del 1949 che un’atomica di Mosca può caderci sulla testa

Se l’Europa si decidesse ad armarsi di realpolitik

Il segretario generale della Nato, Mark Rutte

L’attenzione del mondo è rivolto all’annuncio di Donald Trump di una probabile svolta nella guerra di Gaza. Il raggiungimento di una tregua che permetta di sviluppare – ma vedremo con quante probabilità di successo - il negoziato con israeliani e palestinesi sul progetto di pace elaborato da Washington e i regimi arabi “moderati".

Negli Stati Uniti la notizia ha momentaneamente distratto gli americani dal braccio di ferro tra l’amministrazione e il partito democratico con il rischio di una valanga di licenziamenti nell’apparato federale. Ha tenuto banco, solo un tantino, anche l’altro annuncio del capo della Casa Bianca, di scatenare guerra aperta ai narcotrafficanti centro e sudamericani: decisione preannunciata dall’affondamento dei primi navigli carichi di stupefacenti dinanzi, non a caso, alle coste venezuelane.

Appena qualcuno forse, e per volgare analogia, avrà pensato un attimo all’altra flottiglia, quella diretta a Gaza: prima le polemiche seguite da sbarchi anticipati, data l’incomprensione tra musulmani maschilisti ed esponenti Lgbt , quasi nota di colore indispensabile alla comica finale (velisti fermati, impacchettati ed espulsi, subito e con riguardo i quattro parlamentari) sulla tela di una guerra che si consuma in tragedie quotidiane.  

Poco o punto invece, negli Stati Uniti, seguito il ‘conclave’ di Copenaghen. Tanto per ricapitolare. Ancora escluso il ricorso a riunioni da remoto, in Danimarca s’è svolto l’ennesimo vertice europeo stavolta allargato a una quarantina di partecipanti. Un consulto risoltosi in una gara non solo a quantificare il RearmUe - trasformato in Readiness 2030 - con la speranza di nutrirlo ricorrendo a 140 miliardi di euro russi congelati (degli oltre 200 depositati su banche del Vecchio Continente), ma anche a proporre le proprie produzioni nazionali, attuali e future, di armi e proiettili.

Va bene il “muro di droni”- hanno osservato alcuni leader - però da affiancare a missili ed aerei per colpire la Federazione russa in profondità e, manco a dirlo, “costringerla alla pace”. Così, alle priorità invocate dai rappresentanti dei Paesi nord europei, sono state contrapposte quelle dei leader delle nazioni del centro e sud Europa. Come se non bastasse, è stato osservato (da  Parigi e non solo) che mettere mano ai soldi russi servirebbe da mònito per eventuali altri governi stranieri investitori… a stare alla larga dalle banche dell’Ue.  

Insomma, dubbi, riserve e palesi sospetti e insoddisfazioni, che tuttavia il segretario della Nato, Mark Rutte, ha nascosto dietro la solita balla che “dobbiamo armarci per difenderci”: perché la Russia, dopo l’Ucraina, invaderà il resto dell’Europa. La prova? I suoi missili sono divenuti micidiali e “potrebbero colpire persino Amsterdam, Roma, Parigi”. Dimentica, Rutte, che la sfida tra spada e scudo è nata con l’uomo.

Mosca ha semplicemente migliorato le capacità penetrative dei suoi missili a testata ‘convenzionale’, che ormai superano facilmente le barriere ucraine innalzate grazie ad americani ed europei. Costituiscono la risposta alle forniture ricevute da Volodymyr Zelensky:  denaro a tonnellate, istruttori e addestramento militare, supporto di Intelligence, missili prima a corto e ora a medio raggio, fabbriche di droni (che Kiev ormai vende persino in Africa).  

A Rutte, quasi lo avesse registrato, Vladimir Putin ha risposto da Sochi con parole simili. Ma attori e azione all’inverso. Una follia – ha sottolineato - ritenere che la Russia abbia in programma un attacco all’Europa, alla Nato. A testimoniarlo, peraltro, è lo stesso andamento della guerra in Ucraina (ma non lo dice).

Il capo del Cremlino ha lasciato intendere che Trump avrebbe evitato la guerra, ma ora la lascia agli alleati e pensa agli affari, al Medio Oriente, al Pacifico e a rianimare la “dottrina Monroe” anche in funzione anti-Pechino. Gli europei – ha denunciato Putin - armano l’Ucraina e si riarmano contro di noi. Dobbiamo, quindi, difenderci e armarci di più. In altre parole: difenditi tu che mi difendo pur’io.

La sicurezza totale è ancora una chimera. Oggi persino gli houti a volte riescono a perforare le difese aeree di Israele. Il conflitto in Ucraina si trascina oltre ogni logica. La controffensiva primaverile di Kiev è fallita come l’offensiva estiva di Mosca.

Il summit Trump-Putin in Alaska è stato minato: 1) dall’azione europea, miope e perseverante, di chiusura totale verso i timori della Federazione russa per la sua sicurezza a causa dell’avanzata della Nato; 2) dalla possibilità per Washington di enormi guadagni da aggiungere a quelli derivanti dai dazi attraverso il parziale disimpegno militare diretto, la vendita di energia e armi, l’acquisizione di ‘terre rare’; 3) dalla mancanza d’iniziativa del presidente russo che ha provocato la “delusione” del capo della Casa Bianca (colpa grave di Putin).

Rutte non può ignorare ch’è dall’estate del 1949 che un’atomica di Mosca può caderci sulla testa. Andrebbe calcolato un dubbio: fosse messo alle strette nel conflitto con armi convenzionali, chi potrebbe mai assicurare che il Cremlino, temendo di perdere la Crimea, non ricorrain Ucraina alle forze nucleari? E quali conseguenze avrebbe per l’Ue e l’Alleanza Atlantica?

Oltretutto, il trattato INF che bandiva gli euromissili è in catalessi dal 2019 e il Vecchio Continente è potenziale teatro di primo fuoco atomico. Vanno apprezzate le parole del tanto vituperato premier ungherese Viktor Orbàn, quando denuncia il rischio che un nuovo terribile incendio devasti l’intero Vecchio Continente.

“L’Unione Europea si è trasformata in un progetto di guerra – ha scandito - A Bruxelles dichiarano apertamente che il compito del prossimo decennio è quello di sconfiggere la Russia (…) Quando Bruxelles parla di pace europea, in realtà vuole intendere guerra. Noi rifiutiamo questo obiettivo. Vogliono imporcelo ma abbiamo già vissuto l’oppressione ai tempi del comunismo”.

A Washington, di quanto s’è detto a Copenaghen, interessava soltanto capire le dimensioni del business: quanto spenderanno gli europei in energia e armi made in Usa. Ma finora neppure i leader europei sanno quanti soldi scuciranno ai sudditi. Farebbero meglio a valutare risultati elettorali e sondaggi.

In Germania l’AfD sfonda nelle urne anche all’ovest e diventa primo partito nelle intenzioni di voto. Come Neil Farage in Gran Bretagna. Il governo di Pedro Sanchez annaspa in Spagna tra scandali e delusioni. In Francia il presidente Emmanuel Macron è aggrappato all’ultimo dei suoi esecutivi come un naufrago a un tronco… Non è certo il voto ‘guidato’ in Moldavia, come prima in Romania, a far testo. Prende forza il no alla guerra e il sì alla diplomazia. Per fortuna, c’è ancora spazio per avviare un negoziato che sia finalmente basato sul coraggio e sulla realpolitik.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Commenta scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Il Roma

Caratteri rimanenti: 400

Logo Federazione Italiana Liberi Editori