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LA RIFLESSIONE
05 Ottobre 2025 - 09:30
Elly Schlein e Giuseppe Conte
Si ha voglia di girare intorno alle cause del lento e inesorabile declino del Pd, di accampare o di cercare alibi per le montanti e crescenti critiche ai suoi attuali vertici, la responsabile unica di uno stato di cose che, da tempo, volge al peggio, a una seria resa dei conti, si chiama Elly Schlein.
Da subito, appena eletta coordinatrice nazionale, si capi di che pasta era fatta, quando, in una delle sue prime interviste, sbottò: “O il Pd cambia o è finito, io non ho niente da perdere”. Poche parole, in cui v’era l’essenza delle peggiori negatività comportamentali: arroganza, presunzione e pienezza di sé. Il suo Pd oggi è cambiato, nessuno lo mette in dubbio, però in peggio e ora lei ha tutto da perdere. Altro che niente da perdere!
È già conto alla rovescia: la sua leader vacilla. Giova qui ricordare che allora Occhetto, tra i primi a manifestarle simpatia, le raccomandò, avendone già percepito i boriosi furori, di fondere “utopia e pragmatismo”. Convinto che Elly, da cittadina anche americana, conoscesse la corrente filosofica del “pragmatismo”, molto diffusa negli Stati Uniti, rivolta alla concretezza delle cose non a complicarle.
Ma lei ha fatto l’opposto, ha scelto il massimalismo, l’oltranzismo, la radicalizzazione, le piazze della rivolta sociale di Landini e delle “comiche” comparsate di Conte. Il quale parla di trasparenza, monta in cattedra per tenerne “lezioni magistrali” ma non ha ancora spiegato al Paese per chi lavorava, due mesi prima del voto del marzo 2018, incontrando personalità in ogni campo al mitico Caffè Greco e prospettando loro ingaggi, arruolamenti allettanti nel futuro governo.
Di cui poi si scoprirà, con inquietante stupore, sarà lui il premier, fino ad allora un Carneade non altro, consapevole anche di esserlo, da attribuirsi poi, per meglio promuoversi, il titolo demagogico, reboante di “Avvocato del popolo”. Se la Schlein avesse meglio conosciuto la storia del nostro Paese, parlato con Occhetto, che, all’indomani della caduta del muro di Berlino riuscì nell’ impresa disperata di legittimare il vecchio Pci a succedere a se stesso, avrebbe imparato molto da lui.
Perché, grazie al pragmatismo avviò un processo di aggregazione, del personale politico dei vecchi partiti e anche di tanta parte delle èlite culturali, personale, quali ne fossero origine, provenienza e appartenenza, importante era riuscirvi. E vi riuscì conquistando anche un peso sproporzionato rispetto alla sua forza elettorale effettiva. Altro che “fusione tra utopia e pragmatismo”, oggi siamo alla totale confusione, alla disgregazione del Pd targato Schlein.
Che, per non condannare le violenze di piazza, si è rifugiata nelle asettiche risposte “alla Serracchiani”, secondo cui bisogna apprezzare la maggiore presa di coscienza della gente su certe tematiche. Come? Lanciando pietre contro le forze dell’ordine? È questa la democrazia del Pd? Positiva invece è l’iniziativa di Renzi, che va oltre la lontana frase di de Gasperi sulla “Democrazia Cristiana partito di centro che guarda a sinistra” e affretta lo sfratto della Schlein.
La verità è che il Centro tradizionale non incanta più, meglio occupare il posto, da tempo vuoto o ininfluente della socialdemocrazia, con la “Casa riformista” più rassicurante, che evoca i grandi riformisti del passato Matteotti, Turati, Treves, Saragat i nemici irriducibili dell’oltranzismo di sinistra. Basta con i massimalismi provocatori. Il “campo largo non esiste, anzi non è mai esistito, si è presentato come una sequenza rassicurante da “Amici miei” ma, in realtà, al suo interno c’è un clima di ipocrisia, da “Stanno tutti bene” a “Parenti serpenti”.
La coalizione della inconcludenza, che non riesce ancora a definire un programma elettorale, se n’è accorto anche Bersani, per una serie di ataviche incompatibilità, in questi ultimi tempi è stata bocciata in oltre una decina di verifiche elettorali. Ma il colmo è che, non avendo un programma, pretende di cancellare quello del governo, che sta realizzando e il Paese lo sa. Più irresponsabili di cosi non si può essere.
La vittoria del centrodestra nelle Marche è stato un preavviso per il fallimentare patto Pd-M5S, con queste premesse, le urne in Calabria sono da “batticuore”, per Schlein, Conte, Campo largo da ”rompete le righe”.
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