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L'opinione
06 Ottobre 2025 - 08:00
Qualche giorno fa in una chat nazionale di neurologi di cui faccio parte è stata usata, con modalità quasi gergale, ma non saprei dire a che proposito, essendo il messaggio stato prontamente cancellato, la parola "flottilla".
Non vi dico il putiferio che si è scatenato, tanto da costringere l'amministratore a "cambiare le impostazioni del gruppo per consentire solo agli amministratori di inviare messaggi".
La domanda che sorge spontanea è perché un'iniziativa che ha fondamenti buoni e giusti di solidarietà e umanità abbia determinato tanti conflitti pubblici e privati e sia diventata essa stessa espressione di una parte politica progressista, pacifista e illuminata contro un'altra obbligata, quasi per diritto divino, a essere conservatrice, guerrafondaia e ottusa.
Niente avrebbe dovuto creare questa assurda dicotomia su un argomento che ci dovrebbe in piena parità coinvolgere tutti - abitanti del mondo - e che è invece apparsa, sin da subito, come un pretesto tutto italiano per ritirare fuori vecchi arnesi ideologici buoni per Peppone e don Cammillo, ma senza più la loro proverbiale bonarietá.
Una piccola flotta di imbarcazioni di varia grandezza che parte da Genova e poi va in Spagna per raccogliere cittadini provenienti da tutto il mondo era perfetta per evocare ben altri viaggi, ben altre scoperte, di nuovi mondi, di nuove proposte per una umanità meno vendicativa, meno barbara, più civile e attenta alle istanze, ai retaggi e ai bisogni di tutti, che l'area interessata fosse il Medioriente, il Donbass, la Crimea, lo Yemen o il Sudan.
Il vero valore della missione umanitaria internazionale che è andata a Gaza sotto il nome di Global Sumud Flottilla - dove la parola "sumud", risalente alla "guerra dei sei giorni" del 1967, sta letteralmente "per 'resistenza' o 'perseveranza costante', che è un valore culturale e una strategia politica del popolo palestinese" - era puramente simbolico e come tale rappresentava un atto, pericoloso o ardito che fosse, che recava per sua stessa natura il seme dell'infruttosità, dell'aspirazione apodittica e giovanile alla libertà, per qualcuno addirittura della vanità.
Lo hanno detto in molti, qualcuno anche con soddisfazione: la missione è fallita, fermata, emarginata, ostacolata, sequestrata, - com'era prevedibile - dalle Forze di mare israeliane. Perfino il Patriarca di Gerusalemme dei Latini, il cardinale Pierbattista Pizzaballa, intervistato da Mario Calabresi nella nuova puntata del podcast Vivavoce, ha detto che "avrebbe evitato un confronto così diretto, soprattutto pensando alla gente di Gaza perché non porta nulla alla gente di Gaza, ecco non cambia la situazione a Gaza decisamente”, per auspicare anche che si potesse "tornare a parlare meno della Flotilla e più su quello che sta accadendo a Gaza, col dovuto rispetto per gli attivisti e per le loro buone intenzioni".
Non so se la posizione dell'alto prelato sia giusta, resta il fatto che la cacciata di un intero popolo - già sterminato e stremato da mesi di guerra - dalla sua terra necessitava di un atto fragoroso e velleitario proveniente dal basso, un simbolo appunto, che scuotesse le coscienze e rinfocolasse gli animi, magari con le folle oceaniche da Parigi a Sidney, le parole in siciliano di una canzone di Carmen Consoli e le "Lights for Gaza" di Pozzuoli o facendo entrare il termine "flottilla" nel nostro linguaggio comune (piuttosto che nelle nostre beghe di quartiere), testimonianza già consegnata alla storia che l'uomo non è prono, almeno nella sua interezza, all'ingiustizia e al sopruso.
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