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Svolta di pace a Gaza: prima vittoria di Trump

Dinanzi ai palestinesi si prospetta ora una nuova e migliore stagione. Solo il futuro ci dirà se si realizzerà

Svolta di pace a Gaza: prima vittoria di Trump

Donald Trump

L’annuncio di Donald Trump sul raggiungimento di un accordo che pone fine alla carneficina di Gaza è giunto mentre una seconda e ridicola Flotilla, veleggiante verso le sue coste, veniva intercettata e sequestrata per la gioia di attori e cineoperatori. Notiziola senza valore.

A valere era invece che tra le macerie si diffondeva la eco di un tripudio atteso da due anni. E ben diverso da quello - per molti obbligato e carico di oscuri presentimenti, per molti altri invece sincero - che accolse i “coraggiosi miliziani” di Hamas che il 7 ottobre di due anni fa avevano massacrato più di milleduecento civili ebrei indifesi: bambini, donne e uomini oscenamente torturati, ragazzini e ragazzine violentate, i sopravvissuti trascinati terrorizzati e sanguinanti come ostaggi.

Una gioia diversa e totale, a Gaza ieri, per la speranza di una liberazione sia dai macellai di Hamas - i palestinesi peggiori nemici dei palestinesi - sia dai devastanti bombardamenti ordinati da un governo israeliano cui nessuno ha potuto suggerire una tattica militare diversa contro chi si nascondeva sotto ospedali e scuole e moschee, ma che ha la colpa massima di voler negare ai palestinesi una patria.

Vedremo quando e come scoppierà la pace vera dopo questo cessate-il-fuoco, che segna comunque una svolta storica. Dovrebbe servire, la tregua, a definire compiutamente e segnatamente 1) lo scambio dei prigionieri: poco meno di duemila tra terroristi (circa 250) e detenuti in Israele contro una decina di ostaggi ancora in vita e i cadaveri di un’altra cinquantina nelle mani di Hamas e delle organizzazioni terroristiche collegate (furono circa 250 gli ebrei catturati il 7 ottobre); 2) il ritiro dei militari israeliani in metà del territorio di Gaza; 3) il disarmo di Hamas e forse un suo futuro ruolo ma politico; 4) la gestione della striscia da parte di un ‘supergoverno’ garantito da Stati Uniti, Paesi arabi e non solo, alla cui guida – subito contestata – è stato indicato Tony Blair (sul quale pesa il ruolo nefasto nella guerra all’Iraq); 5) la ricostruzione, immane quanto ambìta, che vedrebbe impegnati nei pagamenti i ricchi Paesi arabi e, nei lavori migliaia di imprese di decine di Paesi (anche l’Italia ai nastri di partenza per l’arrembaggio).

A porre il sigillo sulla svolta verrà alla Knesset, pare domenica, lo stesso Trump. Per ciò ch’è già riuscito a fare, coronando con un successo la prima grande sfida dopo gli Accordi di Abramo, potremmo affermare che meriti il Nobel. Peraltro, l’hanno dato a Le Duc Tho e a Kissinger per una intesa in Vietnam cui nessuno dei due credeva e che infatti scivolò via come acqua sui vetri (Tho lo respinse pure); precedentemente l’avevano conferito a Woodrow Wilson protagonista della scandalosa pace di Versailles; e più recentemente a Jimmy Carter ma nessuno ricorda il perché; e l’hannoaddirittura regalato a Barak Obama per le sue… intenzioni di pace, infatti scatenò in Libia una guerra assurda e controproducente per l’Occidente e in Ucraina un’altra, spaventosamente carica di conseguenze,organizzando il golpe contro il presidente Viktor Yanukovich e quindi contro la Federazione russa. Non son pochi a chiedersi perché mai il capo della Casa Bianca ci tenga tanto…

La svolta di Gaza premia la testardaggine di Trump nel puntare su una intesa garantita dall’adesione del mondo arabo e apra un varco nella nel muro fondamentalista dell’Iran. I palestinesi piacciono poco in Medio Oriente, neppure a Teheran e ai suoi alleati, cui però servono per contare di più nella regione. Destino avverso, il loro, per alcuni versi paragonabile a quello dei curdi.

La Palestina paga caro il peccato capitale di Yasser Arafat, al vertice di Camp David nel 2000, di rifiutare il piano di pace sponsorizzato dal presidente Usa, Bill Clinton, e dal primo ministro d’Israele, Ehud Barak. Pesò forse il timore di percorrere la via che aveva portato alla sanguinosa separazione tra Pakistan e Bangladesh, o forse la speranza di ottenere di più in seguito (dopo una Seconda Intifada)… In ogni caso, fu un errore gravissimo.

Dinanzi ai palestinesi si prospetta ora una nuova e migliore stagione. Solo il futuro ci dirà se si realizzerà. E nasce la speranza che la strategia basata sulla realpolitik dimostrata dalla Casa Bianca si trasferisca anche su altri scenari, a cominciare da quello ucraino. Ma oggi resta il successo, per quanto potenziale, dell’azione testarda di Trump. E della previsione, indicata da questo giornale, che potesse riuscire a sciogliere il nodo gordiano.  

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