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LETTERA DAL PALAZZO
17 Ottobre 2025 - 08:56
Il dato saliente delle recenti elezioni regionali non è tanto il risultato, per altro largamente scontato, ottenuto dai singoli partiti, quanto il dilagare del fenomeno assenteistico che ha assunto, questa volta, dimensioni davvero inquietanti.
È lecito chiedersi dove andremo a finire continuando di questo passo e sollecitare adeguati interventi da parte di chi di dovere per ristabilire l’equilibrio perduto.
Ma la prima domanda da porsi per affrontare il problema concerne la ragione per la quale gli italiani disertano le urne. C’è chi sostiene che ciò deriverebbe da un disinteresse per la politica. Non è vero e lo dimostrano le manifestazioni che si susseguono a ritmo crescente su questo o su quell’argomento. La politica, in realtà, continua ad appassionare come è sempre stato.
I cittadini per mostrare questa loro passione sono pronti a scendere in piazza (basti pensare a quanto è accaduto proprio nei giorni scorsi in favore dei palestinesi). Quello che ci sembra invece meriti di essere sottolineato e nel quale va individuata la ragione dell’apatia popolare, è la profonda disistima nei confronti dei partiti e della classe politica.
Quando, travolta dal ciclone di tangentopoli, la Prima Repubblica crollò, si pensò che la Seconda Repubblica avrebbe proposto agli italiani, partiti non soltanto più onesti ma più efficienti e molti attesero con fiducia gli sviluppi che si sarebbero verificati.
È accaduto il contrario, i partiti hanno perso peso e gli uomini che li dirigono sono di qualità, diciamolo senza infingimenti, sono in verità piuttosto scadenti cosicchè ora, uomini che furono protagonisti della Prima Repubblica vengono unanimemente rimpianti. Si pensa a loro con nostalgia. E così la gente, convinta di non potersi aspettare nulla dai politici attuali, preferisce abbandonarli al loro destino e rifugiarsi nel privato.
In tal modo il voto, che è l’elemento principale in ogni democrazia, va perdendo consistenza. Sono evidenti i pericoli che una situazione di questo genere comporta. È allora legittimo porsi una domanda: se gli italiani non torneranno a esercitare il diritto-dovere del voto, l’Italia continuerà ad essere una democrazia?
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