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La riflessione

Lo “scivolone” di Fico sulle terre della sua sfida

Il colmo è stato la sua raffica di enunciazioni senza alcun concreto accenno progettuale.

Lo “scivolone” di Fico sulle terre della sua sfida

Roberto Fico

All’indomani delle elezioni comunali del maggio 2011, quando Luigi de Magistris prevalse al ballottaggio sul candidato di centrodestra Gianni Lettieri e divenne sindaco di Napoli, lo storico Francesco Barbagallo, invitato a dare un giudizio su colui che si accingeva a guidare una grande e complessa città, disse: “Una cosa è fare il capopopolo, tutt’altra è governare. Vedremo!”.

Purtroppo lo si è visto come. Parole di esemplare saggezza sulla giusta distinzione tra il capopopolo, velleitario, demagogo checerca solo consensi, non sempre poi ben impiegati e chi, invece,governa o si propone di farlo senza demagogia attraverso un programmato impegno su seri obiettivi.

Ora, calando questo illuminato giudizio nella odierna situazione politica campana, a poco più di un mese dal rinnovo dei vertici regionali, si ha la sensazione che Roberto Fico, in corsa come aspirante governatore, voglia essere tutt’e due le cose insieme, però con una maggiore propensione alla demagogia.

Che, il 23 settembre scorso, nel giorno in cui ha ufficialmente annunciato la sua sfida elettorale nel Sannio per “voler cambiare la Campania, a cominciare dai borghi”, ha superato ogni ragionevolezza.

A parte l’enfasi esagerata, quasi da “Rubicone”, per voler sottolineare uno strappo rispetto a tutte le logore liturgie, il colmo è stato la sua raffica di enunciazioni senza alcun concreto accenno progettuale.

Ne riportiamo una breve sintesi: “Le aree interne non saranno più dimenticate, ma protagoniste”; “Ogni metro della regione deve contare, non c’è spazio per trascurare i dettagli quando si costruisce il futuro di territori fragili”; “Qui sul territorio iniziano la mia campagna e la scommessa di creare un modello di governo regionale che non guardi solo alle città iconiche, ma rilanci ogni borgo, ogni vallata, ogni comunità, che oggi teme il futuro”; “Il percorso, appena iniziato, parte dal basso:dai paesi, dalle montagne, dai piccoli centri, dove si misurerà la capacità reale di cambiare la Campania”.

In passato, in questi territori, pur con il meglio delle intelligenze politiche del nostro Paese, vi sono state memorabili battaglie, tutte, però, nel segno di un auspicato riequilibrio tra aree interne spoglie e fasce costiere sature, rese popolari per due efficaci metafore dell’osso e della polpa coniate, nel 1958 dall’indimenticabile meridionalista Manlio Rossi Doria.

Nessuno si è mai sognato di lanciare sfide cosi velleitarie. Stavolta, però, siè passato il segno. Anzi c’è stato qualcosa di molto grave da raccontare. Il 26 luglio scorso - prima che Fico inaugurasse ufficialmente la sua campagna elettorale a Morcone - 139 tra Cardinali, Vescovi, Abati, riunitisi a Benevento nel “Forum annuale”, facendo proprio le analisi del Piano TerritorialeNazionale delle “aree interne”, in una “Lettera Aperta” al Parlamento e al Governo, lanciarono l’allarme sulla definitivacondanna di questi territori.

“Gli indicatori tutti negativi - scrissero - fanno prevedere un destino delle aree interne definitivamente segnato”, come riportatonel titolo dell’obiettivo 4 della Strategia Nazionale, che prefigura “un  percorso addirittura di accompagnamento allo spopolamento irreversibile”.

Questo allarme del 26 luglio, oltre a denunciare “l’agonia delle aree interne”, affette dal male dello spopolamentocosì forte e già complesso di tante società locali, di centri periferici, rimprovera anche un’inerzia di decenni. Stavolta, però, la Chiesa, tralasciando la plurisecolare cautela, nel descrivere loscenario triste delle nostre aree interne, ha rivolto, con parole da brividi, un invito alle istituzioni a “doversi già mettere addirittura al servizio delle comunità residue in vista di un “ineluttabile suicidio assistito” dei territori.

A questo punto, al di là di ogni altra valutazione, sconcerta non poco che Roberto Fico - ex presidente della Camera e candidato alla presidenza della Regione - tra aspre polemiche, dopo una destabilizzante contrapposizione nel Pd napoletano e nazionale, tuttora  “rovente”, non abbia fatto un soloaccenno a questo allarme cosi forte della Chiesa, per di più partito dal Sannio, la terra della sua sfida. Molto grave, perché ne palesa superficialità e scarso rispetto dei luoghi, di cui si erge a difensore. Uno “scivolone” imperdonabile.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

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