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L'analisi
20 Ottobre 2025 - 08:45
L’adunata era stata convocata per lo scorso sabato pomeriggio dalla sezione distrettuale napoletana dell’Associazione nazionale dei magistrati per discutere, nella cornice della prestigiosa sede dell’Arengario presso il Palazzo di giustizia, della riforma costituzionale in atto – ormai si è all’ultimo passaggio, previsto per il 28 ottobre in Senato.
In questo contesto avrebbe dovuto trovare adeguato spazio anche la presentazione del Comitato per il no alla riforma animato da due locali magistrati, il tutto al cospetto di insegnanti e scolaresche, sensibilizzate, sembra, addirittura dalla Direzione Scolastica Regionale, come si trattasse di un evento formativo e non di un’occasione d’autentica propaganda.
In realtà, considerato il parterre, tutto schiettamente schierato per il no alla riforma, non v’è dubbio che non si sarebbe trattato d’un dibattito formativo di coscienze, bensì d’un’opportunità per propagandare la posizione più conservatrice della Magistratura: quella alla quale non va che anzitutto che s’elimini, attraverso il meccanismo del sorteggio, la politica dall’elezione del Csm; e poi che si distinguano i ruoli del pubblico ministero da quelli di chi è chiamato a giudicare delle accuse che questi cotesta in qualità di titolare della pubblica accusa, e sostiene in giudizio, in qualità di parte.
Ma prim’ancora delle idee di codesta magistratura associata, a lasciar sconcertati è che si fosse pensato ad una manifestazione dallo squisito contenuto politico – l’opposizione ad una modifica della Costituzione voluta da una maggioranza politica, legittimata dal voto, che in democrazia, una volta rispettate le regole procedurali, è l’unico elemento di validazione – caricata per di più di impliciti (?) toni antigovernativi, scegliendo di svolgerla nel contesto del Palazzo di giustizia, dove quei giudici esercitano quotidianamente il loro lavoro, ‘sottoposti solo alla legge’, che così decisamente oggi contestano.
È una cosa grave, perché nella vita sociale la dimensione simbolica ha decisiva rilevanza. Un grande sociologo e profondo conoscitore delle psicologie individuali e collettive, Gregory Bateson, ha parlato, a proposito di certi luoghi, oggetti, o vestiari, di ‘segna contesto’.
Vale a dire condizioni in presenza delle quali è favorita la condivisione e ricezione del messaggio: lo ha fatto ad esempio a proposito di troni e toghe, ma un tribunale con dentro magistrati che affermano, discettano, asseriscono con dogmatica determinazione, non è diverso, anzi.
Ora, è davvero segno dei tempi che vengano invitate delle scolaresche in tribunale, non per assistere al mistero del processo e per comprendere come vanno le cose quando si viola la legge, bensì per sensibilizzarli sulla posizione politica della magistratura associata nei confronti di una riforma costituzionale dello Stato.
È qualcosa di molto serio che si pensi di adibire la sede giudiziaria a simili finalità, in sostanza per una rappresentazione negativa di un’altra istituzione dello Stato che sta operando nel pieno rispetto delle regole costituzionali e dei principi della democrazia.
Dunque, nel rispetto di quelle regole che anzitutto la magistratura è chiamata ad assicurare nel suo quotidiano operare.
Scoppiate le polemiche grazie ad alcuni articoli di stampa e soprattutto del Dubbio, la Magistratura ha corretto il tiro ed ha spostato il focus più in generale sui problemi della giustizia.
Ma si tratta semplicemente di una virata furbesca, che non cambia affatto i termini della questione e le intenzioni, chiaramente leggibili dal programma dell’incontro in precedenza fatto circolare e dall’aria che si respirava. L’intenzione che si perseguiva e che non è sfuggita a nessuno, non riguarda il tribunale, bensì la politica, una sfera che i magistrati non possono – in quanto tali – cavalcare, perché è affatto estranea, anzi contraria ai propri obblighi d’imparzialità e neutralità: esattamente quello che è invece la politica, fatta d’interessi, di posizioni di parte, di ricerca di sintesi nei conflitti che non possono trovare soluzione alla stregua del diritto vigente.
Nulla esclude che un magistrato partecipi ad un dibattito, usando i toni moderati e misurati che sono propri della sua funzione; ma è del tutto improprio che all’interno d’un tribunale, la magistratura associata organizzi una manifestazione con obiettiva potenzialità propagandistica, in cui possano veicolarsi messaggi contro l’attività del parlamento repubblicano, impegnato nella difficile opera di riforma di un sistema che ha dato plurime prove di gravissime deviazioni, di abusi della funzione accusatoria, talora anche culminati – ovviamente, assai di rado – in sentenze di condanna ed indagini nei confronti di pubblici ministeri.
Quanto al merito della questione, è davvero molto difficile comprendere come un corpo dello Stato assuma di voler essere indipendente e soggetto alla sola legge e, ad un tempo, si ribelli ad una riforma che vuol sottrarre al gioco correntizio (un gioco di deteriore politica, nemmeno animato da idealità elevate, bensì dalla corsa all’accaparramento delle più prestigiose ed influenti cariche magistratuali) l’elezione dei membri del Csm; e vuol anche distinguere il corpo dei giudicanti, auspicabilmente terzo e neutrale, da quello degli accusatori, per forza della funzione svolta, indirizzato a prendere posizione contro qualcuno sulla base di convinzioni raggiunte.
Ma questo attiene al merito dell’attuale dibattito, per dir così. La forma, quella che si era immaginataall’interno del Tribunale, e poi apparentemente corretta, è cosa diversa e più grave: anche perché le forme sono estremamente eloquenti delle mentalità che ad esse danno vita: detto in altri e meno filosofici termini, chi si comporta in un certo modo già mostra d’esser fatto in una certa maniera.
Certo, dietro le forme ci si può anche nascondere, come mi pare sia avvenuto sabato; ma la sostanza emerge paradossalmente anche più forte, essendo noto che l’ipocrisia è un omaggio che il vizio rende alla virtù: fingendo di crederle.
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