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Sud, ripartire dalla storia disonesta del Banco di Napoli

Focalizzare una discussione seria e costruttiva sul meridionalismo

Sud, ripartire dalla storia disonesta del Banco di Napoli

Da dove cominciare per raccontare della centralità e dell’importanza di una banca che fino a quando è stata in attività, per quasi cinque secoli (sic!), ha rivestito un ruolo da protagonista assoluto, scrivendo non solo la storia della nostra città - sotto il profilo economico, culturale e identitario - ma quella dell’intero Meridione d’Italia? Dall’inizio, naturalmente, dalla “visione” che spinse tre nobiluomini napoletani, ispirati da una formidabile intuizione, a gettare le basi per quella che sarebbe diventata una delle prime e più importanti banche del mondo e che si sarebbe chiamata Banco di Napoli.

È il 1539 quando viene creato il Monte della Pietà con lo scopo di concedere prestiti su pegno, senza interessi, alla popolazione meno abbiente per provare a strapparla dall’incubo e dalla tragedia dell’usura. Una finalità “illuminata” ante litteram per l’epoca e di altissima valenza sociale oltre che filantropica. Nel corso dei secoli, quella istituzione ha sempre saputo coniugare gli interessi finanziari con quelli della crescita del territorio e dei suoi abitanti. Basta un solo esempio per comprendere come il Banco di Napoli abbia rappresentato uno strumento di sostegno all’economia campana e meridionale, un operatore che valutava le prospettive di un’iniziativa per finanziarla guardando in faccia a chi la proponeva, senza lasciarsi condizionare da algoritmi, statistiche, proiezioni e parametri economici: la trattativa per far arrivare all’ombra del Vesuvio Diego Armando Maradona.

L’istituto di credito rilasciò ad una società calcistica, tutto sommato finanziariamente “gracile” come il Calcio Napoli di Corrado Ferlaino, una fideiussione da 13 miliardi di lire, assumendosi non pochi rischi. Per giunta, il tutto si concretizzò in tempi record, a prima richiesta, nel giro di qualche ora e senza garanzie! Quell’atto fu forse dettato da spirito “tifoso”, dall’attaccamento ai colori della squadra della città? Certo, magari quest’ultima componente avrà influito sotto l’aspetto “emozionale”, ma quella presa dal Banco di Napoli fu una decisione lungimirante: la decisione di dirigenti che sapevano bene che l’acquisto del calciatore più forte del mondo, specie in una realtà come quella napoletana, sarebbe stato un volano anche economico, non solo sociale e calcistico. E quindi quel denaro sarebbe certamente ritornato indietro realizzando profitto.

Non solo, grazie a quella fideiussione l’economia dell’intero territorio ne avrebbe tratto un enorme giovamento. E così è stato, tanto che ancora oggi la figura dell’indimenticato e indimenticabile calciatore argentino e il suo legame indissolubile con la città continua a proiettare l’immagine di Napoli sul palcoscenico internazionale, a partire dal grande ritorno che si registra in termini di turismo. Ma, tornando un po’ indietro col tempo, va ricordato che l’attività di sostegno all’impresa e all’economia da parte del Banco di Napoli varcò largamente i confini nazionali, svolgendo un ruolo fondamentale anche per i nostri concittadini all’estero. Già nel 1901 venne aperto a New York un ufficio per agevolare le rimesse degli emigranti, favorendo l’immissione di un importante flusso di denaro verso il Paese di origine. Non soltanto uno strumento per contrastare la povertà di singole famiglie e contesti sociali, ma una leva di sviluppo economico.

Il contributo di crescita è continuato anche con l’attività e gli interventi messi in campo per provare a risolvere la cosiddetta “Questione Meridionale”, il drammatico e insoluto divario sociale ed economico tra il Nord e il Sud del Paese. Il Banco di Napoli, anche in questo delicatissimo e complesso ambito, svolse un ruolo di primo piano per la promozione dello sviluppo economico e culturale del Mezzogiorno attraverso il sostegno al credito, l’assistenza alle imprese e alle attività filantropiche, dando dimostrazione di grande visione e prospettiva, individuando misure e strumenti utili all’obiettivo. Di tutto questo una traccia fondamentale resta nei frutti dell’apporto che il Banco di Napoli, negli anni dal 1951 al 1973 (nel periodo della grande espansione economica degli anni ’50 e in quello del “boom economico”) seppe dare al Mezzogiorno, contribuendo, per la prima e unica volta, a far registrare al Sud percentuali di crescita superiori a quelli del Nord.

Non tornerò sui fattori, sulle colpe e sulle responsabilità oggettive, anche di una certa classe politica, che hanno provocato la graduale trasformazione e il definitivo “spegnimento” di una realtà che è stata fondamentale per la storia e l’affermazione di Napoli, della Campania e del Meridione. Credo però sia necessario, proprio per il rilancio di questa macroregione d’Italia, e in generale, per la crescita del Paese intero, non dimenticare l’insegnamento impartito dal Banco di Napoli. Bisogna ripartire proprio dalla visione originaria che l’ha accompagnato nel corso di centinaia di anni, ed ha portato un istituto di credito a far avanzare un messaggio rivoluzionario: il profitto non può né deve passare sopra i valori e sopra il benessere della collettività. Esiste un altro modo per realizzare guadagni e allo stesso tempo aiutare la crescita dei territori e delle comunità, e questo vale per il Nostro Posto e per qualsiasi altre parte d’Italia.

È intorno a questo concetto, che ritengo si debba focalizzare una discussione seria e costruttiva sul meridionalismo, con l’obiettivo di oltrepassare la “palude” dei luoghi comuni, quello sterile terreno fatto di posizioni ideologiche e anacronistiche, e lavorare compatti e uniti dallo stesso intento, alla realizzazione delle condizioni per costruire sviluppo, diritti e servizi. Cambiamo passo se vogliamo che il Sud sia protagonista del Paese, senza preclusioni, mai periodo storico è stato più propizio.

* Consigliere regionale della Campania della Lega

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