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Liste come labirinti tra nomi, simboli e smarrimento politico

La moltitudine di liste spesso è la fotografia di un sistema che preferisce il rimpasto di equilibri locali alla costruzione di responsabilità politiche chiare

Liste come labirinti tra nomi, simboli e smarrimento politico

La Campania si presenta al voto in una confusione di nomi e simboli che raramente è stata così eloquente. La moltitudine di liste non è un trionfo della democrazia partecipata ma spesso la fotografia di un sistema che preferisce il rimpasto di equilibri locali alla costruzione di responsabilità politiche chiare.

Vedere candidati piazzati per rappresentare interessi di qualche circolo, sprazzi di clientela territoriale o semplicemente per rimpolpare una lista è sconcertante, non perché la società civile non debba avere spazio, ma perché la politica, quando si ingombra di candidature così eterogenee, perde la capacità di dire cosa vuole fare e con quali mezzi.

C’è una componente cinica in questo fenomeno: professionisti della poltrona che si spostano come tessere, ex amministratori che tornano per placare rendite locali, figure improbabili piazzate per equilibri di corrente. E c’è una componente più ingenua ma altrettanto perniciosa: liste civiche e micro-aggregazioni nate dall’emotività del territorio, dal risentimento o dall’opportunità contingente, senza un progetto coerente. Il risultato è un’offerta politica che si frammenta fino all’incomprensibilità, trasformando il voto in un gesto emotivo più che in una scelta di responsabilità.

La critica non è fatta per il gusto di criticare, ma per riportare l’attenzione su alcuni nodi concreti. La selezione dei candidati deve basarsi su competenza verificabile, curricula sintetici e trasparenza sui conflitti di interesse. I programmi non possono restare slogan generici ma devono articolarsi in priorità misurabili e tempi certi. I partiti e le coalizioni devono rispondere del perché scelgono determinate persone e come queste incarnino obiettivi di legislatura.

Si può essere severi senza essere distruttivi. Respingere il qualunquismo che liquida ogni candidatura come inutile non significa accettare supinamente la logica dell’ingrassamento delle liste. Serve invece una riforma culturale delle pratiche di candidatura che unisca pluralismo e responsabilità, che difenda la possibilità di voci nuove senza trasformare ogni competizione in una fiera di raccomandazioni e camuffamenti.

Ai cittadini va ricordato un punto semplice e spesso eluso. In un’elezione regionale la posta non è solo il cambiamento dell’assetto politico, ma la qualità concreta dei servizi, della sanità, dei trasporti e del governo del territorio. Votare bene significa informarsi sui nomi, chiedere impegni precisi, non cedere al chiasso mediatico né alle appartenenze clientelari. I partiti maggiori hanno la responsabilità di non scaricare sulle liste civetta i loro problemi di selezione. Le liste piccole hanno la responsabilità di dimostrare che la loro presenza arricchisce il dibattito con proposte reali.

Se vogliamo che la Campania esca da questo girovagare tra simboli e interessi occasionali, chiediamo che la politica torni a essere un esercizio di responsabilità e non una somma di opportunismi. Solo così la pluralità tornerà ad essere una risorsa e non un rumore di fondo che impedisce di capire chi davvero vuole governare per il bene comune.

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