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IL NOSTRO POSTO
29 Ottobre 2025 - 09:15
La partecipazione al convegno organizzato sulla figura di Giustino Fortunato dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici ha rappresentato per me, oltre che una rigenerante pausa dai veleni di questa brutta campagna elettorale, un’importante occasione di riflessione su un tema che, da sempre, scandisce la mia azione sociale, prima ancora che politica.
Un incontro costruttivo, bipartisan, che ha preso le mosse dal prezioso volume del compianto professor Antonio Sarubbi, generando una profonda riflessione non soltanto sul meridionalismo e sulla Questione Meridionale, ma sulle dinamiche che hanno interessato i nostri territori nell’arco di oltre un secolo e che continuano a far sentire pienamente oggi i loro effetti.
È stata anche l’occasione per provare a smontare alcuni luoghi comuni che da sempre accompagnano la narrazione quando il tema è costituito dal Mezzogiorno e dal divario tra il Sud e il Nord del Paese. Mi riferisco, in particolare, allo stereotipo con cui si fanno ricadere sull’Unità d’Italia le cause dell’arretratezza del Meridione, “dipinto” prima del 1861, come una terra felice, ricca e in salute.
Un luogo comune che Giustino Fortunato, oltre cent’anni fa, spazzò via con una lucida analisi che individuava non soltanto i motivi della oggettiva “diversità” economica, sociale, culturale del Sud rispetto al Settentrione ma anche e soprattutto, gli attori che - con le loro decisioni e ancor di più con cinico affarismo e comunque tragico immobilismo - l’hanno determinata.
E ciò emerge in tutta la sua chiarezza in particolare da un passo che colpisce per la lucidità con la quale questa nobile figura di intellettuale libero individuava gli autentici responsabili.
“Il Sud - scriveva Fortunato - oggi soltanto è schietto, sincero, esso oggi è ministeriale, ad ogni costo, perché oggi finalmente la borghesia dominante ha mandato alla malora la sua maschera bugiarda del 1860. Oggi finalmente si è rivelata, se Dio vuole, per quella che è realmente, reazionaria nell’anima, corrotta, plebea, desiderosa di dominio assoluto nel proprio interesse esclusivo”.
E ancora, “la borghesia meridionale, nel 1860, fu contro i Borbone non per altro, se non per affermare la sua egemonia di classe, e quale egemonia… Fu contro la destra, perché la destra voleva dire moralità e giustizia. La sinistra meridionale non è stata se non una volgarissima ipocrisia, causa prima, secondo me, della Babele parlamentare”. E infine si chiedeva: “che beneficio ha avuto ed ha il Mezzogiorno dal governo di sinistra?”
Un feroce j’accuse lanciato con coraggiosa passione e che oggi siamo chiamati a rileggere come invito a non trovare alibi, a non autoassolversi, a non scaricare responsabilità sugli altri. Una lezione che vale più che mai oggi, a quasi due secoli dall’Unità d’Italia, per affrontare il problema nella direzione giusta e soprattutto per provare finalmente a vincerlo.
Perché è ancora questo il tema centrale intorno al quale bisogna interrogarsi, partendo proprio dal superamento di inutili e pericolose scelte di comodo. Puntare il dito contro gli altri e le loro inefficienze e nel frattempo non fare alcunché perché le cose migliorino, è l’essenza stessa della negazione di ogni azione.
Tutti, a partire dai rappresentanti della classe intellettuale e politica meridionale, hanno il dovere di costruire dei contenuti rispetto a ciò che si pretende per i territori e per i cittadini, siamo noi a dover gettare le basi e a creare le condizioni per il recupero e il rilancio della nostra terra, muovendo le leve necessarie perché ciò si realizzi e si riesca finalmente a colmare la distanza tra il Meridione e il Settentrione d’Italia.
Naturalmente c’è bisogno della reale volontà di procedere con un cambio di paradigma rispetto alle scelte scellerate effettuate in passato da chi, proprio qui al Sud, ha lavorato per cancellare e svendere realtà solide, che fino a quando sono state in attività hanno rappresentato modelli economici, produttivi, sociali e culturali da esportare da Napoli nel resto d’Italia e nel mondo.
E mi riferisco, per esempio, al Banco di Napoli e al “sacco” che a partire dagli anni ’90 ha generato la sua sistematica destrutturazione fino a farlo scomparire del tutto, nel nome, nell’essenza e nella finalità altissima che lo aveva caratterizzato fin dalle origini, accompagnandolo nel corso di una storia durata quasi cinque secoli!
Allo stesso tempo va compreso che spesso i “nemici del Sud” sono stati proprio coloro che, nel nome di un meridionalismo fasullo, sostenuto da nessuna base scientifica, da nessun tipo di studio approfondito, meno che mai dalla conoscenza della realtà dei territori, e alimentato soltanto da squallidi stereotipi, non hanno fatto altro che diffondere un’idea che ha contribuito al persistere e, in molti casi, alla crescita della distanza tra le due aree della nostra Nazione.
Ed è per questo che ancora oggi non solo è attualissima ma anche “vera” la visione di Giustino Fortunato, politico, intellettuale e meridionalista autentico. Il Mezzogiorno “non è tutto uguale” ed è costituito da differenti “pezzi”, ma, per sanarlo e avviarne una reale e definitiva crescita si deve intervenire in ogni settore, valorizzando gli elementi peculiari di un territorio e allo stesso tempo intervenendo con forza contro le criticità di natura sociale, economica, culturale che ne impediscono lo sviluppo.
Non è un caso che, quando Giustino Fortunato portò all’attenzione del Parlamento le condizioni di arretratezza e di miseria in cui viveva un’ampia fetta della popolazione del Sud Italia, l’Esecutivo dell’epoca introdusse “leggi speciali” per il Meridione di natura meramente assistenziale però.
A queste Fortunato si oppose duramente, appunto perché il Sud per crescere deve svilupparsi con strumenti di sviluppo autentico in ogni settore, dalle infrastrutture all’istruzione. A distanza di tanti anni - e dopo l’esperienza positiva della Cassa per il Mezzogiorno, purtroppo accantonata nonostante i buoni risultati del ventennio in cui operò - quel pensiero continua a restare attualissimo ed è dalla sua visione che si deve ripartire per il rilancio del Sud, per riportarlo ai livelli che gli spettano e per il bene non solo del Nostro Posto, ma dell’intera Italia.
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