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Il corsivo
30 Ottobre 2025 - 08:04
Diego Armando Maradona
Oggi Diego Armando Maradona avrebbe compiuto 65 anni. Sessantacinque. Un’età che sembra impossibile associare a lui, che per Napoli è rimasto eterno, immutabile, scolpito nel ricordo come un dio giovane e ribelle, con il pallone ai piedi e lo sguardo fiero rivolto al cielo. A pensarci, non è soltanto un compleanno mancato: è un anniversario di vita, di passione, di identità. Perché Maradona, a Napoli, non è mai morto davvero.
Arrivò in un’estate infuocata, quella del 1984, quando il calcio italiano parlava milanese e torinese. Lo accolsero in 80.000 al San Paolo, come si accoglie un Messia. E lo fu, per davvero. Non solo sul campo, dove trasformò il Napoli in leggenda, ma nella coscienza di una città che in lui vide il riscatto dei poveri, la rivincita del Sud, la voce di chi non si era mai sentito ascoltato. “Io sono napoletano come voi”, disse un giorno, e da quel momento non fu più solo un calciatore: diventò un sentimento collettivo.
Maradona fu il riscatto e la ferita. Diede a Napoli due scudetti, una Coppa Italia, una Supercoppa e una Coppa Uefa. Ma soprattutto le diede orgoglio. Ogni suo gol era una scossa d’amore che attraversava i vicoli, ogni dribbling una carezza al popolo che lo adorava come un figlio prodigo e indomabile. Quando toccava la palla, pareva che il Vesuvio si fermasse per guardarlo. Non c’era logica nel suo talento: era magia, istinto, genio puro.
Eppure Maradona fu anche dolore. Un uomo fragile, divorato dal successo, dalle tentazioni, dai veleni di un mondo che non perdona chi è diverso. Ma Napoli non lo giudicò mai. Lo amò con quella pietà profonda che solo le madri sanno avere per i propri figli più tormentati. Anche nei momenti più bui, quando il mondo gli voltò le spalle, la città restò lì, fedele, pronta a difenderlo e a piangerlo. Perché Diego non era un idolo: era uno di noi. Con i suoi sbagli, le sue follie, la sua grandezza.
Oggi, nel giorno in cui avrebbe spento 65 candeline, Napoli si ferma di nuovo a ricordarlo. Al Murales dei Quartieri Spagnoli, davanti al suo volto dipinto, c’è chi porta un fiore, chi una sciarpa, chi una preghiera. Lì, tra i panni stesi e i bambini che giocano a pallone, vive ancora il suo spirito. Non c’è quartiere, non c’è campo di periferia dove il suo nome non venga pronunciato con rispetto e malinconia. “Diego”, basta una parola per far brillare gli occhi di un popolo intero.
Maradona è stato e resta il simbolo di ciò che Napoli è: contraddittoria, passionale, ferita e straordinariamente viva. Ha dato un sogno ai poveri e una lezione ai potenti. Ha mostrato al mondo che anche dal basso si può arrivare in cielo, e che la bellezza può nascere dal disordine.
Se oggi fosse qui, forse sorriderebbe davanti a un caffè, osservando un ragazzino che palleggia scalzo in un vicolo di Forcella. In quel gesto, semplice e puro, c’è tutto il suo lascito: la gioia del gioco, la libertà del talento, l’amore di una città che non smetterà mai di sognare con lui.
Diego Armando Maradona non è mai invecchiato. È rimasto per sempre quel ragazzo di Villa Fiorito che fece innamorare Napoli e il mondo intero. Sessantacinque anni? No, per lui il tempo si è fermato. Perché il Pibe de Oro non è un ricordo: è un battito del cuore. E il cuore di Napoli, da quel 5 luglio 1984, batte al ritmo del suo sinistro.
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