Speciale elezioni
il punto
02 Novembre 2025 - 09:00
Giovedì, il Senato ha ribadito il suo precedente “sì” alla riforma della Giustizia che con i due arrivati dalla Camera, in precedenza, ha completato l'iter previsto dalla nostra Magna Charta per poter rimodulare una norma costituzionale. Ora, però, inizia il tratto di strada più, lungo, irto e tortuoso, per arrivare “a scala reale”.
Poiché la riforma non ha ottenuto in Parlamento il 75% dei voti dell'aula, richiesto dalla Costituzione. Nei prossimi 90 giorni, assisteremo a una corsa sfrenata fra maggioranza e opposizione a chi arriva prima a mettere insieme le firme dei richiedenti richieste dalla Costituzione per l'indizione del referendun. Nel caso si voterà tra fine marzo, metà aprile 2026. Da oggi, quindi, cambiano, campo di gioco e protagonisti.
Non più Chigi, Montecitorio e Palazzo Madama, ma piazza, cittadini e urne; non più solo maggioranza e opposizioni, bensì centrodestra e centrosinistra, “comitati per il si” (fra cui quello istituito il 16 luglio scorso dalle “Camere Penali) e “comitati per il no” fra cui quello dell'”Associazione Nazionale Magistrati” che cerca di mostrarsi autonoma e compatta, ma in realtà al proprio interno nasconde tantissimi dissidenti e altrettante crepe.
E, più che sulla fedeltà degli associati - molti dei quali (come, del resto, nel Pd) non del tutto convinti del “no” e ancora meno di agire per motivi politici - conta su quella del 90% della stampa mainstream italiana e gruppettari di tutte le forme e le fogge.
E, del resto, che quella che resta da compiere per il “si” definitivo alla riforma non sarà una passeggiata salutare, lo hanno dimostrato i magistrati della Corte dei Conti che mercoledi 29 (guarda caso proprio il giorno prima che Montecitorio ribadisse, il via libera alla riforma della giustizia) quasi a mò di avvertimnto avevano risposto picche alla richiesta della Cipess del visto di legittimità indispensabile per iniziare i lavori del Ponte sullo Stretto. Nessuna sorpresa, però.
L'Italia è il Paese del “no” a tutto, e i giudici della Corte dei Conti, per quanto “contabili” sempre magistrati sono, in “guerra con il governo. Dimenticano, però, che la magistratura italiana ed anche quella contabile (a propopsito dov'erano quando Conte s'inventò: bonus, superbonus e reddito di cittadinanza?) non è mai stata un esempio di infallibilità. Anzi!
Che temino di perdere i propri privilegi? Di sicuro, a molti di loro, non piace l'inserimento in Costituzione del principio per il quale “i magistrati (che oggi godono, di una sostanziale impunità) sono direttamente responsabili degli atti compiuti in violazione dei diritti” e “risponderanno personalmente dei propri errori di “dolo o colpa grave” che oggi sono a carico dello Stato”, né la “separazione delle carriere, il doppio Csm e il sorteggio per la nomina dei loro componemti. Come finirà? ce lo diranno gli italiani in primavera. E solo allora, in caso di vittoria dei “si”, si potrà brindare davvero. E ora cambiamo, ma neanche troppo, argomento.
Tommaso Cerno - già direttore dell'Espresso, condirettore di “Repubblica”, attuale direttore de “Il Tempo” di Roma, e già parlamentare Pd - nel suo editoriale dell'altro giorno, ha definito come: “impunità di Stampa”, quella che personalmente – avevo definito (ne “Il punto” dell'11 novembre 2024 sul “Roma”) come “immunità antifascista”.
Ma risultati e conseguenze non mutano. Per la sinistra, nessuno deve toccare Caino. Si chiama “pretesa” di “pensiero unico”. Anche se è passato un anno, forse, qualche lettore ricorderà che in quell'occasione scrivevo che il campo(santo), giornali, Tv e giornalisti, hanno continuato a dire della maggioranza tutto il peggio possibile alfine di poterla accusare di fascismo e illiberallità, nella speranza di mandare “gambe all'aria” il governo Meloni che di quella maggioranza era ed è – nonostante le loro fake news – espressione, senza subirne alcuna conseguenza pratica, sul piano personale, politico o professionale, guadagnandone, anzi, in termini di carriera, remunerazione, visibilità ed intoccabilità.
E così, consapevoli, però, che non l'avrebbe fatto (essendosi espressa in tal senso già nel dicembre del “2022” e loro avevano appositamente finto di non sentire) pretendevano che la Meloni si dichiarasse antifascista. Ma lei, si è guardata bene dal farlo. Il fascismo è finito oltre 80 anni addietro a che serve parlarne, per dire di non essere un fantasma? Uno spettro, del quale nessuno sente alcuna nostalgia.
Tranne la leader dalla cittadinanza triforcuta italo-svizzera-Usa del Pd, Schlein che ne ha fatto il suo unico programma politico-elettorale. Non sarà per questo che da quando (12 marzo 2023) è stata eletta segretaria nazionale del Pd è diventata la recordwoman mondiale di sconfitte elettorali. Ben 11, più 4 referendum. Ma lei dice che sotto la sua guida il Pd è cresciuto di 10 punti, ma la realtà è che dal 20,1 di allora oggi è al 21,1% .
Lo sanno anche loro, ma continuano a farsi impunemente strame della verità, nascondendosi dietro lo scudo di questa sorta d'”immunità antifascista” che li rende praticamente intoccabili. E non solo i media, ma anche la sinistra e quelli che distribuiscono rancore e odio. Per fortuna, su questa strada gli italiani non li seguono.
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