Speciale elezioni
la riflessione
06 Novembre 2025 - 09:26
Antonio Rastrelli
In 55 anni di storia regionale in Campania hanno per lo più governato il Centro e la Sinistra. Nei primi 28 anni, fatti salvi i circa 4 anni di governo Rastrelli, il centro, all’epoca democrazia cristiana, è stato il partito di maggioranza relativa e, ad eccezione di una breve presidenza liberale con l’On. Acocella, ha sempre espresso il vertice. Dal 1998 a oggi, tolti i 5 anni di Governo Caldoro, la maggioranza di governo è sempre stata sinistrocentrica. I primi 5 lustri sono stati anni di costruzione e di crescita, perché, va detto, sono stati anche gli anni della Cassa per il Mezzogiorno e quelli tristi ma operosi del post terremoto dell’ ‘80.
Nel 1992 la crisi della democrazia e la cannibalizzazione della politica, in uno con la chiusura dell’esperienza CasMez, hanno dato avvio alla “introiezione” dell’azione pubblica, caratterizzata da un approccio puramente gestionale, che ha spazzato via la politica visionaria che si alimentava di studi, analisi, proposte di piano e strategie programmatorie. Con il primo governo regionale, negli anni ’70, fu affrontato sin da subito il tema del riequilibrio territoriale, tra “Campania litoranea” e “Campania interna”.
La questione trovò, all’epoca, una sua articolazione per “direttrici preferenziali”, mettendo al primo posto la cd “direttrice strategica di sviluppo interna” pensata sulla posizione baricentrica della regione rispetto agli assi di collegamento nazionali e transnazionali tra Nord e Sud e tra Est e Ovest. Nella “Proposta di indirizzi politico-operativi per la programmazione economica e territoriale della Regione” approvata nel 1974, detta anche “Opzione Cascetta”, alla direttrice strategica di sviluppo regionale fu, infatti, dato un tracciato che “dalla media Valle del Volturno, attraverso la Valle del Calore, giunge a Benevento fino a raggiungere il Vallo di Diano, a cui riconnettere altre due direttrici secondarie di collegamento con il Molise (Benevento-Piana Boiano-Isernia-Campobasso) e con l’Adriatico (Benevento-Valle del Mescano-Valle del Fortore-Termoli), in modo da migliorare le connessioni interregionali e realizzare l’area di sviluppo globale del Medio Tirreno”. Una proiezione antitetica all’isolamento nel quale, invece, le aree interne della nostra regione sono piombate.
Il progetto, lo sappiamo, nel tempo non ha trovato un suo sviluppo organico. Possiamo individuare solo tracce sparse, nel tempo e nello spazio, di quel disegno, nelle aree di insediamento industriale nelle zone interne, nella metropolitana regionale, nell’alta velocità Na/Ba. “La polpa e l’osso” di memoria sono rimasti tali. Come tutti i discorsi mai completamente chiusi, però, anche quello del riequilibrio territoriale è tornato ciclicamente nei dibattiti, ma in una sola occasione ha avuto il vigore dei suoi esordi.
Con la Presidenza Rastrelli si riprese in mano lo sviluppo di un Piano Territoriale di Coordinamento Regionale, che servì a costruire il “Pop_Fest Campania 1994/99” nel quale, in particolare con il sottoprogramma Comunicazioni, la Regione Campania orientava finalmente il suo intervento verso la eliminazione dell'isolamento delle zone interne attraverso il superamento delle carenze della rete viaria e la promozione di un sistema di trasporto su rotaia e intermodale, con l’obiettivo ulteriore di decongestionare le aree urbane.
Il Presidente Sergio Rastrelli, il primo e unico uomo di destra alla guida della nostra Regione, interpretando in maniera positiva, il ruolo della regione, quale ente di programmazione e di decentramento amministrativo, nei poco più di tre anni di governo si occupò di definire le linee di sviluppo dell’intero territorio. La sua opera fu però interrotta dal “ribaltone” dalemiano, che partito a Roma, con il rovesciamento del Governo Prodi, grazie all’appoggio dell’Udr di Cossiga e Mastella, si propagò anche sui territori.
In regione Campania Rastrelli fu sfiduciato in consiglio e si formò una nuova maggioranza di Centrosinistra. Tutto questo per ricordare ai cittadini che il futuro si costruisce anche sulla memoria. La Regione, da allora, si è trasformata in centrale di spesa soprattutto dei fondi europei, che hanno sostituito le provviste finanziarie della cassa per il mezzogiorno, e ha abbandonato la dimensione programmatoria, diventando un ente di appesantimento burocratico e amministrativo.
Sembrano tanti 30 anni per pensare di riallacciare idealmente un discorso con quell’approccio di piano tipico dell’ente sovraordinato ma essendo trascorsi invano essi possono essere azzerati ripartendo dalla visione integrata del territorio regionale e dalla idea di sviluppo valorizzante di tutte le aree dello stesso. La Regione per sopravvivere deve tornare ad essere il motore della integrazione delle differenze e del governo della complessità del suo patrimonio. Per far questo è necessaria una guida che imprima una svolta.
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