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l'intervento
08 Novembre 2025 - 11:03
Un filone di ricerca di crescente interesse riguarda la possibile correlazione tra autismo e polimorfismo del gene MTHFR (Metilentedraidrofolato reduttasi), in particolare nella forma omozigote.
Il deficit di folati può compromettere la sintesi di diversi neurotrasmettitori, tra cui dopamina, serotonina, epinefrina, ossido nitrico e melatonina.
È importante sottolineare le differenti funzioni tra neurormoni e neurotrasmettitori.
I neurotrasmettitori agiscono sulle cellule vicine, trasmettendo messaggi chimici rapidi e di breve durata.
I neurormoni, invece, viaggiano attraverso il sangue e raggiungono cellule bersaglio distribuite in tutto l’organismo, esercitando un’azione più diffusa e duratura.
Particolare interesse riveste l’utilizzo della leucovorina, una forma attiva di folato, in grado di attraversare la barriera ematoencefalica e di ripristinare o mantenere costanti i livelli di folato a livello ematocerebrale nelle persone con deficit neurologici.
In presenza di una ridotta capacità del cervello di sintetizzare la vitamina B12, si può determinare un deficit significativo. In questi casi, la somministrazione della forma metilata della vitamina rappresenterebbe un importante passo avanti, poiché nessuna formulazione orale ha mai dimostrato un’efficacia comparabile.
Pertanto, nel Morbo di Parkinson
sarebbe opportuno valutare in modo sperimentale l’impiego della leucovorina come possibile supporto terapeutico.
Un dato interessante proviene da uno studio osservazionale condotto da ricercatori della Icahn School of Medicine at Mount Sinai, pubblicato su Evidence-Based Mental Health, rivista del gruppo del British Medical Journal (BMJ).
Lo studio ha preso in esame i dati di circa 27.000 israeliani di età compresa tra 60 e 75 anni, monitorati dal 2013 al 2017.
All’inizio dello studio, nessuno dei partecipanti presentava segni di deterioramento cognitivo.
Al termine dell’osservazione è emerso che il 13% dei soggetti mostrava una carenza ematica di folato, con valori inferiori a 4,4 ng/ml. Tra questi, il rischio di demenza risultava aumentato del 68%, mentre quello di morte per qualsiasi causa era superiore del 300% rispetto ai soggetti con livelli normali di vitamina B9.
L’utilizzo della leucovorina appare quindi consigliabile anche nei soggetti con disturbi cognitivi e deficit della memoria a breve termine.
In relazione alla malattia di Alzheimer è inoltre importante monitorare i livelli di omocisteina e considerare la leucovorina come una potenziale risorsa terapeutica capace di migliorare il metabolismo cerebrale.
La Fondazione Mediterraneo, ematologo, suggerisce che in tutte le patologie neurologiche possa essere utile associare la leucovorina alla vitamina B12 metilata, auspicando che questo farmaco possa essere distribuito in Italia e reso disponibile a carico del Servizio Sanitario Nazionale (SSN).
La ricerca, dunque, apre nuove prospettive nel campo delle cure neurologiche, con una crescente attenzione al metabolismo del folato, alle sue implicazioni genetiche e alle potenziali applicazioni terapeutiche.
*ematologo
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