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Stato Paternalista: l'esempio pericoloso delle Maldive

I nati dal 2007 in poi non potranno mai acquistare o fumare tabacco, per tutta la vita

Stato Paternalista: l'esempio pericoloso delle Maldive

Di queste ore la notizia, accolta con entusiasmo da molti, che le Maldive sono il primo Stato al mondo ad aver sancito un divieto assoluto di fumo, addirittura “generazionale”: i nati dal 2007 in poi non potranno mai acquistare o fumare tabacco, per tutta la vita. È una misura che, più che un passo avanti nella tutela della salute, somiglia a un salto indietro nella storia delle libertà individuali.

​Il proibizionismo, in tutte le sue forme, è sempre stato una risposta illiberale a una questione reale. E, nella maggior parte dei casi, una risposta fallimentare. Dalla messa al bando dell’alcol negli Stati Uniti negli anni Venti – che generò solo contrabbando, violenza e corruzione – alla “guerra alla droga” di Nixon, che dopo mezzo secolo ha prodotto più carceri che riabilitazioni, la storia dimostra che proibire non redime: sposta semplicemente il problema altrove, rendendolo opaco, sommerso, incontrollabile.

​Ma oltre all’inefficacia empirica, c’è una questione ben più profonda: la libertà dell’uomo di scegliere la propria condotta di vita. Lo Stato può e deve informare, educare, in certi casi persino disincentivare; non può sostituirsi all’individuo nella scelta morale o esistenziale di ciò che fa di sé e del proprio corpo. Quando uno Stato decide di vietare un comportamento non perché danneggi altri, ma perché giudicato “nocivo per sé”, varca la soglia dello Stato liberale e sconfina nello Stato etico – quello teorizzato da Bottai – che pretende di dirigere il cittadino verso un ideale di virtù o di salute.

​Nel patto sociale che fonda la convivenza civile, l’individuo rinuncia a una parte della propria libertà in cambio di tutela e sicurezza, non della morale pubblica. La libertà trova il suo limite solo nella libertà altrui: fumare può essere un vizio, non un delitto. Vietarlo in astratto significa riconoscere allo Stato un potere paternalistico e potenzialmente illimitato: oggi il tabacco, domani i grassi, l’alcol, le bevande gassate, dopodomani magari la sedentarietà o l’assenza di esercizio fisico.

​Il gioco d’azzardo è un altro caso emblematico di proibizionismo inefficace. In Cina, dal 1949, è formalmente vietato: il codice penale punisce l’organizzazione e la partecipazione, anche online. Eppure il fenomeno è endemico. Potentissime reti clandestine di scommesse – le cosiddette huìhuà – nelle mani della criminalità organizzata, e una miriade di intermediari che collegano ai siti offshore, dimostrano quanto inefficace possa essere la pretesa dello Stato di imporre un dato comportamento, considerato virtuoso.

​Certo, il fronte liberale incontra un punto di debolezza: alcune restrizioni alla libertà sono state universalmente accettate, anche se interferiscono con scelte che riguardano solo l’individuo e non hanno effetti diretti sulla libertà altrui. Penso all’obbligo delle cinture di sicurezza. È, in effetti, una misura illiberale: se un adulto, pienamente consapevole dei rischi, sceglie di non allacciarla, non mette in pericolo altri. John Stuart Mill, nell’On Liberty, direbbe che lo Stato può limitare la libertà solo per impedire un danno a terzi (harm principle), non per proteggere l’individuo da se stesso. Non a caso, il New Hampshire – il cui motto è Live free or die – in omaggio alla tradizione libertaria americana, non prevede l’obbligo.

​Personalmente sono pragmatico. Penso che la libertà possa essere temperata dal buon senso, così che lo Stato, cum grano salis, possa in talune circostanze obbligare a fare qualcosa “per il tuo bene” e per un bene collettivo, come la riduzione dei costi sanitari e sociali. ​Sia chiaro: la libertà non è arbitrio, e la responsabilità personale è la sua condizione. Ma uno Stato che, in nome della salute, pretende di vietare comportamenti che non ledono altri, finisce per infantilizzare i cittadini e disabituarli alla responsabilità stessa. Temperare il principio liberale con il buon senso è legittimo; sostituirlo con un’etica di Stato è pericoloso.
​La libertà, come scriveva Mill, ha senso solo se può essere esercitata anche per sbagliare.

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