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La riflessione

“A un certo punto ogni medico diventa paziente”… che vale

Altro che "medicina del territorio" e "medicina di prossimità", si educhi il medico alla conoscenza dell'animo umano prima che a quella del tecnicismo diagnostico

“A un certo punto ogni medico diventa paziente”… che vale

È sempre più frequente che sia le riviste scientifiche che i portali che trattano questioni mediche o di salute in genere si occupino di storie di malasanità che coinvolgono gli stessi operatori del settore (per lo più medici).

A volte sono, invece, solo racconti di prese di coscienza di un certo stato patologico, più o meno grave, quando chi è sempre stato abituato a stare da una certa parte del tavolo si ritrova a essere non più esaminatore bensì, suo malgrado, esaminato. Il passaggio è assolutamente epocale, quanto più si è giovani e quanto più non si gode ancora di una piena stabilità economica e personale.

Qualche giorno fa è stata proposta, in una speciale sezione di Medscape - una piattaforma online e un'app mobile gratuita che fornisce informazioni sanitarie, notizie mediche e formazione continua ai professionisti sanitari in tutto il mondo - dal titolo esplicativo di "Dr. Patient", una di queste storie che, come racconta lo stesso sito, fa luce sul lato umano (e fragile) di ogni medico.

"A un certo punto" - è scritto nella pagina di presentazione di questa particolare rubrica - "ogni medico diventa un paziente. Per molti medici, affrontare una malattia grave e sottoporsi a un trattamento è un'esperienza che li rende umili, illuminanti e, in definitiva, trasformativi". Mai parole furono più vere, soprattutto se si scontrano con una realtà sanitaria che è meno edificante di quanto si immagini.

Ho già più volte raccontato la mia esperienza di malattia e quanto questa mi abbia migliorato, sia come professionista che come uomo. È dovere di tutti ricordarlo, ancor più se chi attraversa il mondo più o meno oscuro della malattia per censirlo e disciplinarlo è anche colui che dovrebbe prendersene carico nella comunità in cui vive.

Resta così vieppiù emblematica l'esperienza di una pediatra americana, all'epoca dei fatti appena quarantaduenne, resa pubblica appunto da Medscape, la quale, sottovalutata dai suoi colleghi per mesi, ha scoperto da una tomografia computerizzata prescrittale controvoglia durante uno dei tanti infruttuosi accessi in Pronto Soccorso, di essere affetta da un cancro al rene metastatico al IV stadio, attualmente in trattamento con anticorpi monoclonali, ma dall'esito e dalla prognosi del tutto incerte. Ripropongo con gioia questa storia per due motivi.

Il primo è che dovrebbe insegnare a noi medici a mantenere sempre costanti l'attenzione, il rispetto e l'empatia verso i nostri pazienti. Il secondo è che dobbiamo lavorare con le istituzioni per costruire reti di gestione e monitoraggio della salute pubblica che non siano solo vuote parole del politico di turno, bensì soluzioni chiare e percorribili per chi soffre e non sempre riceve il dovuto ascolto, molto prima di una qualitativa e duratura presa in carico.

Altro che "medicina del territorio" e "medicina di prossimità", si educhi il medico alla conoscenza dell'animo umano prima che a quella del tecnicismo diagnostico (ammesso che qualcuno lo pratichi), si valuti il paziente e non la malattia, si cresca (lo ripeto) in ascolto più che in burocrazia. E, soprattutto, si ritrovi la passione per la nostra professione, figlia dell'umiltà che da sempre la ispira, ben consci - come dovremmo esserlo già - che "a un certo punto ogni medico diventa paziente". 

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