Speciale elezioni
L'analisi
17 Novembre 2025 - 08:40
Il procuratore di Napoli, Nicola Gratteri
L’ultimo scherzo che l’intelligenza artificiale ha giocato all’intelligenza naturale – inventando di sana pianta un’opinione attribuita a due venerandi magistrati della storia repubblicana, due eroi che forse non abbiamo meritato e dalla cui opera abbiamo tratto vantaggio senza farne tesoro – dovrebbe lasciare pensare, e sotto multipli riguardi.
La cosa è nota: un giornalista che quotidianamente dà lezioni di civica morale e di saggezza politica dalle colonnine del suo giornale, Marco Travaglio, ed il procuratore della Repubblica di Napoli, Nicola Gratteri, recente maître à penser del dibattito pubblico nazionale, sono caduti in una trappola allestita da non si sa chi, per ora, ma certamente da abile utente degli strumenti dell’IA.
I due hanno creduto ad un’intervista rilasciata temporibus illis da Giovanni Falcone, nel corso della quale il valente magistrato – all’epoca avversato in ogni modo dalla magistratura associata, la stessa che oggi vorrebbe farsi bella di lui – si sarebbe espresso appunto contro la separazione delle carriere.
E sia il Travaglio, sia il Gratteri hanno dato voce a questa supposta intervista, il secondo, a quel che comprendo, addirittura facendola ascoltare nel corso d’una delle tante trasmissioni televisive alle quali si concede. Si è dato però il caso che l’intervista non fosse mai stata rilasciata e, a parte il sentore macabro del tutto, fosse in realtà una ‘bufala’, come oggi elegantemente usa dire, prodotta dall’immancabile IA.
I due mal capitati si sono anche scusati. E quindi, perché parlarne? Per una ragione che con l’IA ha parecchio da vedere, ma ha da vedere soprattutto con i regressivi tempi che viviamo. Quell’intervista è stata usata – salvo l’effetto paradossale di ritorno– per veicolare un messaggio referendario.
Schematicamente, può semplificarsi così: siccome Falcone e Borsellino hanno affermato che la separazione delle carriere del pubblico ministero e del giudicante è scelta ordinamentale errata, la scelta ordinamentale compiuta attraverso la riforma costituzionale è errata. Più o meno, questo lo schema.
Uno schema che nella storia della conoscenza umana è tutt’altro che ignoto. Bisogna sapere che nel corso del basso medioevo, un influente filosofo mussulmano, nato nell’Andalusia arabizzata degli inizi del XII secolo, quell’Averroè che il ‘gran comento feo’ – così Dante eternò la sua opera di commentatore di Aristotele – introdusse nel mondo del ragionar filosofico, ed ebbe amplissima sua fortuna nella filosofia scolasticache ne seguì, l’argomento dell’ipse dixit, ovvero ab auctoritate. All’epoca si riteneva – e la cosa fu stimolo per un enorme affinarsi delle capacità logiche umane, ma all’epoca – che Aristotele fosse la sintesi del sapere, che grazie a lui fossero state raggiunte ineguagliabili e soprattutto insuperabili certezze.
Sicché, dinanzi a difficoltà dimostrative, perché quelle ci son sempre state e ci saranno, si riteneva che fosse sufficiente richiamare l’autorità d’Aristotele perché una solida base di sapere fosse assicurata al ragionatore: l’ipse dixit, lo ha detto Aristotele, e dunque nessuna obiezione più potrebbe reggere al cospetto, la verità è data.
Per l’epoca, la cosa era utile, perché ancora assente la scienza sperimentale ed il relativismo epistemologico, su quelle fondamenta il ragionamento aveva agio d’avanzare. Ma poi un tal Francesco Bacone spiegò al mondo che veritas filia temporis, che la verità è figlia del tempo, va verificata e cambia di continuo; di conserva, un tal Galileo Galilei spiegò a sua volta che la scienza si fonda sull’esperienza e la sperimentazione, ha bisogno di verifiche continue.
E l’ipse dixit, lasciato il suo contributo alla storia della conoscenza, fu messo da parte. Non sempre, però, come mostra l’attuale momento regressivo, quando si va alla ricerca di autorità – più o meno vere, più o meno fasulle – sparse per il mondo, il nostro piccolo, provinciale mondo.
Non dovrebbe essere così. Chi ha competenze e conoscenze, se le ha, ha un corrispondente dovere morale, altrimenti non compie nobile opera di comunicazione, informazione ed elevazione dei suoi concittadini. Chi ha avuto il privilegio, la fortuna o la forza di crearsi delle conoscenze, di sviluppare la propria capacità argomentativa ed i propri strumenti della conoscenza, deve metterli a disposizione di tutti, non ricorrendo al principio di autorità, bensì a quello dell’argomentazione razionale, fondata sui fatti, sull’esame critico della realtà, sul confronto di buona fede, sull’osservazione schiettae spregiudicata degli elementi di cui si compone l’oggetto da giudicare.
In questa campagna referendaria sta regolarmente accadendo il contrario: si usano improbabili testimonial, frasi ad effetto, autorità venerande, possessori del vero. Sarebbe molto più semplice e democratico spiegare con parole chiare – quelle indispensabili, quando ci si rivolge alla moltitudine – quali articoli, espressioni, precisi contenuti della riforma sarebbero gli strumenti per la sottomissione dei pubblici ministeri, e addirittura della magistratura tutta, al potere politico.
Quali precisi spunti di questa marrana volontà si rinvengono nelle parole della riforma costituzionale. Sarebbe anche opportuno che codesti paladini del bene istituzionale, ricordassero che la verità è figlia del tempo e che se si è reso necessario intervenire sull’attuale assetto dell’ordine giudiziario, è forse perché son venuti a luce abusi inauditi da parte di non isolati componenti di quell’ordine giudiziario che hanno imposto dei precisi correttivi, proprio quelli necessari a moderare deviazioni e sviamenti di potere, mostratisi deleteri.
Certamente nel mio giudizio posso sbagliare; ma il giudizio si deve formare su fatti precisi, non su autorità inventate: anche perché, fondandosi sul principio d’autorità si corre il rischio di precipitare rovinosamente quando le autorità vengono meno, non potendosi argomentare nulla, allorché in precedenza non s’è argomentato seriamente, ma si ci è appoggiati su quel caduco ipse dixit.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Copyright @ - Nuovo Giornale Roma Società Cooperativa - Corso Garibaldi, 32 - Napoli - 80142 - Partita Iva 07406411210 - La società percepisce i contributi di cui al decreto legislativo 15 maggio 2017, n. 70. Indicazione resa ai sensi della lettera f) del comma 2 dell’articolo 5 del medesimo decreto legislativo - Il giornale aderisce alla FILE (Federazione Italiana Liberi Editori) e all'IAP (Istituto di autodisciplina pubblicitaria) Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questo giornale può essere riprodotta con alcun mezzo e/o diffusa in alcun modo e a qualsiasi titolo