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Il punto
19 Novembre 2025 - 09:16
Zelensky e Putin
Si abbassa il sipario – come previsto – sulle gesta della Banda Bassotti di Kiev e il comico folle va in giro per l’Europa a far la spesa di armi. Ma con una pausa: oggi ad Istanbul incontra Tayyp Erdogan.
Il presidente turco con due piedi nella Nato e la testa fuori, amico di Vladimir Putin come di Donald Trump, il quale, guarda caso, ha spedito in Turchia il fido suo inviato speciale Steve Widkoff. A Istanbul la delegazione ucraina interruppe le trattative con quella russa.
Il capo della Casa Bianca, forte del successo all’Onu per il suo piano mediorientale di pace, punta a rilanciare il negoziato per fermare il conflitto in Ucraina. Nell’incontro con Viktor Orbàn ha confermato la scelta di Budapest per un summit con Vladimir Putin. E Mosca ha risposto proponendo a Washington di sviluppare su “basi realistiche” un negoziato per porre fine al conflitto in Ucraina.
Iniziare a discutere dopo aver concordato un cessate-il-fuoco sull’attuale linea del fronte, lascia intendere che Putin voglia rimediare all’errore di non aver fatto da sponda a Trump in Alaska e forse rinunciare al recupero di tutti i territori russofoni.
È significativo che la Russia abbia fatto precedere la disponibilità al dialogo con gli Stati Uniti sia dall’annuncio, ieri, del ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov di un vertice tra Putin e il primo ministro indiano Narendra Modi “a New Delhi fra tre settimane"; sia dalla missione del primo ministro Mikhail Mishustin a Pechino (dove una quindicina di giorni fa ha incontrato il presidente cinese Xi Jinping), seguita dal consulto con il premier cinese Li Qiang, pochi giorni fa a Mosca. Cina e India, minacciate dai dazi della Casa Bianca, sono divenuti i massimi acquirenti di energia russa. New Delhi lo è anche, storicamente, di armamenti.
E l’Europa?... Torniamo a Zelensky. Oggi a Istanbul. Ieri a Madrid, ospite di un ‘barcollante’ Pedro Sanchez. E l’altro giorno a Parigi, dove il funambolesco presidente francese gli ha firmato la ricevuta per l’acquisto di un centinaio di modernissimi caccia Rafale, fiore all’occhiello della Dassault Aviation, e un bel po’ d’altri armamenti.
Pagamento sempre a carico della Russia, che ha un paio di centinaia di miliardi ‘sequestrati’ a Bruxelles, oppure dei Paesi europei a malincuore. Consegne diluite… in un decennio!
Aerei che s’aggiungono al centinaio di caccia Gripen svedesi: sempre a pagare Mosca – esilarante illusione – quando provvederà ai danni di guerra. Insomma, trattenere le lacrime, il conto toccherà ai contribuenti d’Europa. Ai quali Ursula von der Leyen ha già preannunciato che entro la fine del 2007 dovranno sborsare all’incirca 140 miliardi di euro. Previsione pessimistica considerata l’eco “all’armi, all’armi” che rimbalza da un Paese all’altro del Vecchio Continente.
A Berlino anche Friedrich Merz s’affida alla riconversione dell’industria dell’automotive con quella degli armamenti per superare la crisi economica innescata sia dalla rottura dei rapporti privilegiati con la Russia, fornitrice dell’energia a metà prezzo per le fabbriche tedesche (con l’attentato al gasdotto North Stream, peraltro già minacciato da Joe Bidean a Olaf Scholz); sia dagli ostacoli sorti lungo la nuova Via della Seta; sia dalla strategia dei mandarini di Pechino di sfruttare la globalizzazione per esportare al massimo ed importare al minimo.
Merz ha presentato un programma di riarmo che prevede l’astronomica cifra di mille miliardi di euro d’investimento entro il prossimo decennio. Una spesa che contraddice una radicata tradizione di severo rispetto di equilibrio finanziario e che quasi ignora gli odierni vincoli europei.
Affidarsi al riarmo, all’economia di guerra, per superare fasi di depressione non richiama soltanto il precedente hitleriano, di metà anni Trenta del secolo scorso, che segnò il superamento della repubblica di Weimar oppressa dai folli risarcimenti della prima guerra mondiale. Al riarmo hanno fatto ricorso con alterni risultati grandi e modeste potenze, da Stati Uniti e Russia alla Corea del Nord.
Il piano di riarmo tedesco dovrà, anzi dovrebbe coordinarsi ed armonizzarsi con quello di tutti o quasi gli altri Paesi dell’Ue. La difesa comune europea rappresenta un obiettivo lecito di sicurezza: l’ “altro pilastro” del ponte di un’Alleanza Atlantica finora poggiato prevalentemente su quello Usa.
Ma ora viene spiegato, anzi spacciato con la necessità di opporsi ad una eventuale invasione russa. Così, invece di avviare il necessario recupero della Russia, per riannodare l’Occidente euro-asiatico all’Occidente euro-atlantico, s’innesca una gara al riarmo gravido di conseguenze.
Il potenziamento di moderne forze convenzionali europee, superiori per qualità e quantità a quelle russe, può spingere Mosca ad ‘aggiornare’ ulteriormente le forze nucleari tattiche, a corto e medio raggio. E questo, dopo aver sviluppato l’ultima generazione di forze strategiche (missili intercontinentali Burevestnik e siluri Poseidon a propulsione atomica) in vista della scadenza, il 5 febbraio, del trattato New-Start.
Il Cremlino ha anticipato la propria disponibilità a prorogarlo di un anno. La risposta tarda ad arrivare.
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