Speciale elezioni
L’ANALISI
22 Novembre 2025 - 08:27
In tempo di elezioni regionali è bene chiarire "di cosa parliamo" quando ragioniamo sul prossimo Consiglio. L'amministrazione regionale è quella che sostanzialmente media le risorse tra governo nazionale e fondi europei e li orienta sul territorio.
Dalla sanità alle infrastrutture locali, al finanziamento dei Comuni, ai progetti sovra-comunali (quasi tutti), all'assistenza domiciliare, alla formazione, ai grandi distretti industriali alle politiche agricole, fino a cave e torbiere, per non tacere di rifiuti e gestione del territorio e protezione civile, è tutto nelle mani (letteralmente) della Regione.
A pesare è sì la Giunta, ma a contare è soprattutto il Consiglio, e in questo prevalentemente la maggioranza. Su 51 consiglieri, la scorsa consiliatura ne vedeva 33 di maggioranza e 18 di opposizione. I seggi sono divisi per provincia, in base alla popolazione: 27 per Napoli, 9 per Salerno, 8 per Caserta, 4 per Avellino e 2 per Benevento.
Il Bilancio della Regione Campania ammonta a circa 40 miliardi di euro l'anno, di cui circa 11 in Sanità, 10 miliardi per il personale (sic!) mentre appena 4 sono i miliardi spesi in investimenti, mentre 15 miliardi sono il complesso dei trasferimenti territoriali. Per chiarire, negli ultimi vent'anni le spese per istruzione, sicurezza pubblica, trasporti, industria e artigianato sono più che dimezzate.
Il Pil della Campania è di circa 112 miliardi, la metà del Lazio, e siamo la diciottesima regione per Pil pro capite (dopo di noi solo Sicilia e Calabria, ma davvero di pochissimo).
Su 611mila imprese, l'83% sono attive. Nel 2022 il 34% delle imprese registrate operava nel commercio e il 9% nei servizi alle imprese. Il 28% sono professionisti e il 40% sono nel settore commerciale.
Il settore industriale è molto variegato ed articolato, soprattutto grazie alle politiche di vantaggi fiscali e agevolazioni che hanno favorito l'apertura di sedi secondarie di industrie nel settore metalmeccanico, farmaceutico, alimentare, oltre al tessuto di trasformazione e tessile originario. La Campania agricola quasi non esiste più, e il Pil di settore pesa appena il 3% (che tuttavia da solo, con i suoi 4 miliardi dà lavoro a 150mila persone) che arriva al 10 se consideriamo la trasformazione, mentre il 18% del Pil viene dall'export che pesa circa 21 miliardi.
Il punto di fragilità però è la dimensione di impresa locale. La metà delle partite Iva è legata a professionisti, il vero ammortizzatore sociale degli ultimi dieci anni: non c'è lavoro? Apriti un'attività. Un danno più che un vantaggio agevolato da tante misure che hanno creato più illusioni che posti di lavoro reale.
Alla fine le partite Iva sono rimaste, ma per lavorare "a fattura" per altri studi professionali, più che per una vera attività in proprio, aumentando la percezione e la realtà della precarietà. Tutto questo si scontra con il sistema del credito, che per erogare mutui richiede una stabilità che da noi non c'è.
L'esito è che il settore trainante, l'edilizia civile, che ha tratto ossigeno dai bonus, rischia il collasso, con un eccesso di offerta rispetto alla domanda. I 5,5 milioni di abitanti della Campania entro il 2035 potrebbero diminuire del 10% a causa di fattori eterogenei, primo tra tutti la mancanza di offerta di lavoro.
Mezzo milione di cittadini giovani in meno che non solo non contribuiranno al Pil regionale, ma che spenderanno meno in quel 40% di attività commerciali, che fruiranno meno dei professionisti locali e soprattutto che contribuiranno al divario tra domanda e offerta di immobili, per i quali si stima un deprezzamento medio del 25%.
Questi sono i numeri della Campania, con cui dovrà misurarsi il nuovo Consiglio e la nuova Giunta. Trend e numeri per mettere mano ai quali occorrono competenze specifiche, una visione organica, complessa e complessiva, di futuro. Qualcosa insomma che non può essere confuso con un programma elettorale scritto su un volantino o su due slogan in un comizio.
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