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la riflessione
24 Novembre 2025 - 08:48
William Shakespeare, in "Sogno di una notte di mezza estate" ha scritto:" Noi due insieme, come doppie ciliegie siam cresciute, divise in apparenza, però unite nella separazione: belle bacche, nate entrambe su un ramo, in apparenza corpi distinti, però un solo cuore, come i colori su uno stesso stemma". La storia di Alice ed Ellen Kessler porta il segno indelebile tracciato da queste bellissime parole, qualunque sia la ragione per la quale siano state scritte. Una eccezione non la regola la loro vicenda - badate bene - che mescola nel vissuto delle povere bambine di Lipsia, delle sfavillanti donne di Roma e delle rigorose anziane di Monaco, tanto la luce quanto il buio, due facce di una medaglia di fratellanza (fino alla simbiosi), solidarietà, orgoglio e amore, non a tutti forse comprensibile, o per lo meno non fino alla tragica (o poetica) scelta finale.
Lo scrive un gemello omozigote come me, che ha attraversato un tempo in cui l'unico alleato era l'altro della coppia e che pure - per il bene di tutti, qualcuno potrebbe osservare - ha percorso la sua strada trasformando l'identità genetica in diversità di desideri, inclinazioni, affetti e destini. Nessuno può capire, questo è l'unico dato certo, cosa accade nei cuori di due gemelli monovulari - non semplici fratelli in ogni caso - e questo vale tanto per le ormai immortali Kessler (più che mai ora, dopo la scelta da loro compiuta) quanto per i comuni mortali come noi.
Temo che neanche i diretti interessati lo comprendano fino in fondo. Sappiamo di certo che c'è stato un tempo in cui separarsi era un dolore indicibile e riunirsi una pace sconfinata. Alcuni hanno oltrepassato quell'età, facendosi responsabili e adulti, altri (altre nel caso delle Kessler) a quell'epoca geologica della loro anima sono rimasti ancorati, come in una baia mite e sicura. Nessuno giudichi la scelta delle gemelline teutoniche di morire insieme, nessuno la interpreti con toni gravi o libertari. Erano solo due donne che si sono strette bambine nelle ore apocalittiche, si sono mosse (quale termine fu più appropriato per loro) all'unisono sui palcoscenici del mondo e nelle strade pur divergenti della vita - resta emblematica la frase di Alice, "venti uomini in un anno per me contro un uomo per vent'anni per lei" - e sono morte insieme affinché nessuna delle due avesse a dolersi di un'assenza che sarebbe stata ben più apocalittica e irreparabile di quella infantile.
Non un patto è stato il loro, ma un matrimonio, una congiunzione astrale, dal primo all'ultimo minuto. Un po' le invidio. Avrei voluto anch'io, nella mia riconosciuta e riconoscibile unicità, avere più forza e coraggio per isolare la mia gemellarità dal contesto in cui quotidianamente vivo, facendo di me e del mio compagno placentare un tacito soliloquio, un baluardo dentro le difficoltà e le mutevolezze della vita. Ma forse è proprio quello che in qualche modo accade a tutti i gemelli che hanno usato passi comuni e tenaci per costruire una casa nel bosco a cui solo loro possono accedere e dove - come i Dioscuri Castore e Polluce - generare la loro personale forma di immortalità: "metà dell'anno nell'Ade (il regno dei morti) e metà nell'Olimpo, così da non essere mai separati".
Non è il suicidio assistito delle gemelle Kessler, ma qualcosa di più sottile e mitologico, una forma di fedeltà assoluta che compensa la fragilità dell'uno con la forza dell'altro. Che è proprio quello che sono certo volessero fare Alice ed Ellen, quando hanno girato la valvola di accesso del veleno mortale al loro identico sangue.
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