Cerca

L’OPINIONE

Quando un sindacato dimentica che il futuro non aspetta

Lo sciopero generale indetto per il 12 dicembre dalla Cgil di Maurizio Landini rappresenta lo specchio fedele di una crisi della sinistra sindacale ben profonda

Quando un sindacato dimentica che il futuro non aspetta

Maurizio Landini

Lo sciopero generale indetto per il 12 dicembre dalla Cgil di Maurizio Landini rappresenta lo specchio fedele di una crisi della sinistra sindacale ben più profonda di quanto le cronache quotidiane riescano a mettere a fuoco. Esaminando le rivendicazioni avanzate colpisce, soprattutto, la totale cecità rispetto alle onde d'urto di una trasformazione che sta riscrivendo, in maniera caotica e accelerata, le regole del mondo della produzione e dell'occupazione.

Mentre l’informatizzazione e l’automazione stanno modificando radicalmente il ruolo delle figure professionali classiche - oggi basta un input per attivare intere catene produttive prive di dipendenti - la Cgil continua imperterrita a sfornare piattaforme rivendicative che sembrano sospese in una dimensione parallela, come se gli ultimi cinquant’anni di storia economica e di evoluzione delle dinamiche del lavoro semplicemente non siano mai esistiti.

Davanti a una mutazione radicale dei sistemi produttivi globali, il sindacato di Landini sceglie di concentrarsi su formulazioni verbali generiche, ormai logorate dall'uso ripetuto: combattere l'incertezza occupazionale mediante dichiarazioni d'intenti e proposte prive di concreto respiro, affiancare a queste posizioni parole d'ordine di natura politica e antigovernativa che stonano clamorosamente con la realtà economica nazionale e così via.

Il tutto mentre trascura completamente di interrogarsi su quale significato assuma oggi il concetto di "posto di lavoro", su come si modifichino continuamente i profili delle competenze lavorative richieste, su quali siano gli effetti prodotti dalle nuove tecnologie “intelligenti” sulle dinamiche occupazionali.

È cruciale  sottolineare che questa miopia non rappresenta solo un errore strategico, perché è l'evidenza tangibile di come un certo pensiero sindacale, attento più a occuparsi di politica che ad approfondire le mutate esigenze del mondo del lavoro, continui a rimanere rinchiuso entro coordinate mentali costruite durante l'era industriale precedente, quando le fabbriche erano ancorate al territorio e le relazioni fra capitale e lavoro si dispiegavano secondo schemi diversi , quelli sui quali era stato costruito l'intero impianto della negoziazione collettiva del Novecento.

Ma la realtà economica, oggi,narra tutt'altra storia. Le filiere produttive hanno subito una ristrutturazione radicale: non si sviluppano più solo nelle stesse arene geografiche e normative, ma gli attori economici si distribuiscono su scala mondiale secondo logiche che ignorano completamente i confini politici, mentre quegli equilibri di forza nelle dinamiche del lavoro che, una volta, si dirimevano attraverso scioperi concentrati in aree industriali cruciali, oggi risultano diluiti in una molteplicità di situazioni impossibili da coordinare attraverso strumenti sindacali tradizionali.

Accanto a queste considerazioni strutturali, esiste una questione ancora più dirimente. Mentre altrove si discute animatamente di “robot tax”, di innovazione nei sistemi formativi per aggiornare costantemente le competenze della forza lavoro, di strategie di convivenza costruttiva fra capacità umana e sistemi di intelligenza artificiale, il sindacato di Landini sembra avvitarsi in una dialettica incapace di metabolizzare il fatto fondamentale che la precarietà contemporanea nasce dalla riconfigurazione continua delle strutture economiche globali.

Invece, come la parte matura e lungimirante del fronte sindacale ha compreso da tempo, è necessario costruire una stagione nuova dove il sindacato non si limiti a opporreuna resistenza aprioristica nel nome dei fantasmi di un'epoca defunta, ma si faccia invece protagonista di una trasformazione che coinvolga realmente i lavoratori nella partecipazione attiva e determinante alla vita delle imprese, nella compartecipazione ai processi decisionali e nella condivisione degli utili generati dall'innovazione.

Questo significa superare definitivamente il vecchio modello di relazioni industriali per abbracciare, invece, una visione dove il conflitto si trasformi in cooperazione finalizzata al conseguimento di risultati di crescita concreti per tutte le parti sociali, dove i dipendenti non siano più semplici strumenti di produzione ma partner effettivi e determinanti nello sviluppo economico condiviso e il sindacato assuma un ruolo diverso, più autorevole, completo, ampio e strategicamente responsabile.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Commenta scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Il Roma

Caratteri rimanenti: 400

Logo Federazione Italiana Liberi Editori