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La riflessione

Giurisprudenza in campo, consenso sempre mutabile

Se è arrivata a tanto, bisogna pur considerare che, con tutti i limiti della vicenda e la presenza d’un certo tasso di grottesco, qualche concreta ragione dev’esserci pur stata

Giurisprudenza in campo, consenso sempre mutabile

Si sta facendo un gran parlare della possibile modifica, in discussione alla Camera dei deputati, dell’art. 609-bis del codice penale, recante la disciplina del reato di violenza sessuale.

In molti trovano che la norma soggetta alla discussione ed all’esame parlamentare sarebbe particolarmente sarebbe particolarmente invasiva e porrebbe a rischio la stessa possibilità d’avere rapporti liberi e spensierati, restando poi sempre soggetto il partner intraprendente, normalmente l’uomo, al rischio d’essere successivamente ricattato ed accusato di violenza, anche quando questa sia stata al momento del tutto assente.

Ed è vero, questo rischio c’è, come sempre quando la legge vuole o ha bisogno di regolare troppo, anche quanto avviene nell’intimità dei rapporti. La verità, però, è che non è la legge oggi in discussione ad avere scelto questa forma effettivamente notevole d’invasività; essa, in realtà, non fa che prendere atto di acquisizioni ormai raggiunte dalla giurisprudenza, come fra un momento dirò.

E se la giurisprudenza è arrivata a tanto, bisogna pur considerare che, con tutti i limiti della vicenda e la presenza d’un certo tasso di grottesco, qualche concreta ragione dev’esserci pur stata, dato che i giudici pronunciano su casi concreti e sono indotti ad estendere le fattispecie anche oltre quel che sarebbe consigliabile, perché sospinti dalla pressione di fatti talora inconculcabile e non altrimenti ovviabile.

Già da tempo la Corte di Cassazione ha stabilito che “integra la violenza sessuale il fatto di colui che prosegua un rapporto sessuale quando il consenso della vittima, inizialmente prestato, venga meno a causa di un ripensamento ovvero della non condivisione delle forme o delle modalità di consumazione del rapporto, poiché il consenso della vittima al compimento degli atti sessuali deve perdurare nel corso dell'intero rapporto”.

Questo significa, sempre secondo il dictum della Suprema Corte che la permanenza del consenso deve essere verificata nel corso dell’intero rapporto e che, se esso viene meno, e l’atto vien lasciato continuare secondo il suo passionale decorso, lo sprovveduto che seconda incurante le sue brame, non può nemmeno sperare nell’applicazione di circostanze attenuanti.

Inoltre, e questo è ovvio, è sufficiente che il dissenso sia manifestato all’inizio dell’avvio della condotta criminosa, restando irrilevante che esso non sia manifestato nel prosieguo o anche che esso possa apparire, per così dire, sopraggiunto. E nemmeno è necessario che il dissenso sia esplicitamente manifestato, essendo sufficiente che un consenso non via sia stato, quanto meno tacito ed in ogni caso il consenso deve esser stato validamente prestato.

Orbene, a fronte di queste già acquisite conclusioni della giurisprudenza, tutto quello che, come dicono i giuristi, recita il primo comma dell’art. 609-bis del codice penale in corso d’esame parlamentare, è in ciò: “chiunque compie o fa compiere o subire atti sessuali ad un'altra persona senza il consenso libero ed attuale di quest'ultima è punito con la reclusione da sei a dodici anni”.

Sostanzialmente, nel sintagma ‘senza il consenso libero e attuale’, la novella nient’altro fa che dare forma normativa agli approdi già da tempo raggiunti dai massimi giudici: e dunque assume e fa propria la posizione più rigorosa di tutela del partner nolente del rapporto sessuale.

Ed allora perché tanto strepito? Perché tanta polemica e tanto gridare allo scandalo, all’inammissibile? Perché tanto ironizzare? Beh, la ragione è semplice da comprendere. Quel che è affermato dalla giurisprudenza resta pressoché confinato nelle stanze dei giudici e viene espresso attraverso forma lessicali, spesso linguisticamente astruse, la cui eco non giunge alla massa delle persone, anche se non mancano i riporti nei media e qualche vivace confronto di più o meno breve durata.

Quanto si dibatte in Parlamento – se il tema tocca il sentire comune – si ha invece risonanza differente, anche perché esplicitamente s’involge la scelta politica ed i suoi attori: quelli che, su temi del genere, devono poi rispondere all’elettorato e dunque con esso avranno da fare i conti quando vi si ripresenteranno.

E dunque, il tutto si surriscalda ed intorbida. Lasciar fare alla giurisprudenza è dunque una soluzione relativamente agevole, perché fa passare per tecniche, soluzioni che invece sono ad elevato contenuto politico, sgravando quindi chi dovrebbe assumere il compito regolatore della responsabilità della scelta, responsabilizzante sul piano della rappresentanza degli interessi.

Ma poi il problema, prima o poi, si presenta all’aula parlamentare, gravato di tutto un portato d’esperienza giuridica maturatasi e stratificatasi e diviene così difficile una valutazione politica che possa a trecentosessanta gradi affrontare l’onere molto complesso di dettare una disciplina articolata, diversificata, capace di considerare il molteplice che è chiamata a regolare.

È difficile negare che quando il diritto entra a disciplinare quanto normalmente accade nella riservatezza dell’alcova, i problemi che si presentano sono ardui.

Come è difficile negare che la brutalità maschile che si registra sempre più diffusamente richieda discipline rigorose e dissuasive. Il vero tema in reati come questi, poi, è nella prova. Fornire la dimostrazione del consenso o del dissenso o, peggio, della revoca del consenso nel corso dell’atto, quando per di più si discute anche di consensi o dissensi che possono essere anche silenti, e trovare qualcuno che questa ipotetica prova possa valutare in modi attendibili e tali da escludere al di là d’ogni ragionevole dubbio l’innocenza dell’imputato, beh è onere che potrebbe essere arduo anche per chi potesse far ricorso a divine facoltà.

Sicché, la norma dovrebbe almeno accompagnarsi a presunzioni legali semplici, che aggravino la dimostrazione della responsabilità in presenza di determinate relazioni tra i partner. Come altri ritrovati tecnici pure dovrebbero stabilirsi, per evitare i facili abusi. Ma il tutto è oggi d’estrema difficoltà, vuoi per il ritardo nell’intervento legislativo, vuoi – e soprattutto – per un conformismo imperante nel pensiero, che talora impedisce anche solo d’affacciare i problemi al pubblico confronto.

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