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L'inverno demografico è già qui: servono natalità e sicurezza

Le nascite continuano a calare. Il 2024 ha registrato meno di 370mila nuovi nati

L'inverno demografico è già qui: servono natalità e sicurezza

In Italia, quando si parla di futuro, ci si dimentica spesso della sua condizione preliminare: avere abbastanza persone per costruirlo. L’inverno demografico non è più un rischio, è una traiettoria certa. Entro il 2060 la popolazione in età lavorativa si ridurrà del 34 per cento, dodici milioni di individui in meno, l’equivalente dell’intero Nordest. Il rapporto tra occupati e popolazione totale scenderà al 45 per cento: ogni lavoratore dovrà sostenere, oltre a sé stesso, almeno un inattivo. Il tasso di dipendenza degli anziani supererà il 75 per cento. È una struttura economica che semplicemente non regge.
Le nascite continuano a calare. Il 2024 ha registrato meno di 370mila nuovi nati e il 2025 rischia di peggiorare. Il tasso di fertilità è fermo a 1,2 figli per donna. Anche se vi fosse un immediato ritorno al tasso di sostituzione, i nuovi nati sarebbero comunque economicamente dipendenti per due decenni. Nel frattempo il Paese perde competenze: negli ultimi dieci anni sono scomparsi 90 mila laureati nella fascia 25-34, 21 mila nel solo 2023.
Il disequilibrio è già evidente nei territori. Nel Sud gli assegni pensionistici superano quasi di un milione gli occupati. Molte province del Nord stanno seguendo la stessa sorte. Nei prossimi quattro anni, dei tre milioni di italiani che lasceranno il lavoro, tre quarti vivono nelle regioni più produttive. È uno svuotamento silenzioso, che indebolisce alla radice il sistema Paese.
Di fronte a questo scenario, puntare sulla natalità è necessario ma insufficiente. Servono misure economiche e servizi che restituiscano libertà alle famiglie, perché oggi un figlio in Italia è ancora una delle prime cause di povertà. Ma non basterà. Per evitare il collasso del sistema produttivo occorre governare i flussi migratori, non subirli. Non con un’immigrazione di massa non selettiva, che i territori non sono in grado di reggere, ma con ingressi ordinati, controllati, legati al lavoro e alle competenze che mancano.
E una formazione all'altezza, con le nostre università e il nostro sistema di diritto allo studio sempre più aperto all'integrazione alta, di giovani che vogliono costruire il futuro in Italia.
È ciò che fanno i Paesi più avanzati, ed è ciò che l’Italia dovrà fare se non vorrà ritrovarsi con fabbriche senza operai, ospedali senza infermieri e distretti industriali senza tecnici.
C’è poi un punto che nel dibattito pubblico si preferisce aggirare, ma che riguarda la tenuta democratica del consenso su ogni politica migratoria: la sicurezza. Il Paese non può accettare che restino sul territorio persone insieme destinatarie di decreti di espulsione, con precedenti penali e che continuano a delinquere. Ogni episodio delittuoso agli onori della cronaca finisce per incrinare la fiducia dei cittadini nelle istituzioni e alimenta un sentimento negativo verso la stragrande maggioranza degli immigrati regolari che rispettano le regole. Così facendo, si finisce per inibire proprio quelle politiche selettive che servirebbero a sostenere la tenuta demografica del Paese.
I modelli esistono: Canada, Australia, Germania, Spagna. Sistemi a punti, ingressi vincolati a contratti reali, formazione linguistica obbligatoria, integrazione misurata. È un approccio pragmatico, non ideologico.
L’Italia non può più scegliere tra natalità, immigrazione e sicurezza. La risposta deve tenere insieme questi tre piani, perché ciascuno dipende dagli altri.
È molto difficile, certo. Ma l’inverno demografico è già iniziato e la risposta che vi daremo decide il nostro futuro. È il momento di un realismo nuovo. L’alternativa è lasciare che il Paese si spenga lentamente, per semplice aritmetica di ciò che non abbiamo avuto il coraggio di fare.

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