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03 Dicembre 2025 - 10:12
Nathan Trevallion e Catherine Birmingham
In Italia ogni anno sono in media oltre 32mila i casi di allontanamento di bambini dalla loro famiglia per essere affidati a “case famiglia”: un numero in drammatica quanto costante crescita. È un fenomeno inquietante, non solo per le dimensioni, ma anche per il “sistema” che lo rende possibile, in cui non mancano evidenti storture. Il silenzio che, da sempre, accompagna questi drammi negli ultimi giorni è stato squarciato dalla vicenda di una famiglia anglo-australiana che finora aveva vissuto con i tre figli minorenni - una bimba di otto anni e due gemelli di sei - in un casolare nei boschi di Palmoli, in provincia di Chieti. Il Tribunale per i minorenni dell’Aquila ha disposto l’allontanamento urgente dei bambini perché, secondo i magistrati, questo originale stile di vita avrebbe messo a rischio le loro relazioni sociali oltre che la loro incolumità fisica. Ma grazie alla mobilitazione dell’opinione pubblica ci si sta avviando verso una soluzione rapida e positiva della vicenda, perché il Tribunale ha dovuto prendere atto della disponibilità di un privato a garantire una casa “tradizionale” a questa famiglia.
Resta comunque il fatto che il bilanciamento degli interessi dei minori in casi del genere viene gestito con logiche sovente incomprensibili. Per un bimbo in tenera età conta di più una casa in città e non nel bosco o l’affetto dei genitori? L’istruzione a casa e non a scuola - se effettivamente garantita - è solo un’astrazione costituzionale destinata a restare sulla carta oppure è un diritto che, con tutte le cautele del caso, può essere responsabilmente esercitata laddove non ci sono le condizioni per fare altro? Alcuni beni materiali - tv, computer, cellulare, ad esempio - sono un elemento indispensabile per la crescita di un bambino oppure - di fronte ad una responsabilità consapevole - questa scelta deve essere lasciata dallo Stato ai genitori? L’accesso alla socialità per un minore si traduce nella astratta possibilità di fruire di luoghi e spazi di gioco e crescita, servizi pubblici ovvero conta che queste attività siano garantite nei fatti? I servizi sociali dell’Ente locale - che sono le sentinelle territoriali che la legge ha individuato per queste vicende - stanno offrendo un sostegno concreto e operativo al nucleo familiare in difficoltà per garantire questi “beni” primari allo sviluppo di un bambino, oppure si stanno limitando ad esercitare una funzione burocratica di segnalazione della vicenda al Tribunale?
Ecco, una risposta netta e decisa a interrogativi come questi dovrebbe essere la precondizione prima di adottare la decisione di affidare un bimbo ad una “casa famiglia” interrompendo nei fatti il legame tra genitore e figlio, quantomeno nella quotidianità. L’esperienza concreta, purtroppo, ci consegna che il contrario accade in molti casi, ponendo in essere patologie, prima ancora che fisiche, di natura psicologica, dolori e drammi che possono durare anni lasciando traumi irrisolti in chi ne è restato vittima. Per una “famiglia del bosco” il cui caso sfonda il muro del silenzio ci sono migliaia di vicende di famiglie separate senza che ciò fosse realmente necessario.
Per non parlare del numero impressionante di padri o madri che ogni anno, nell’ambito delle cause di separazione e divorzio, vedono il contrasto col coniuge tradursi nel divieto o nella difficoltà di incontrare i figli, spesso in ragione di ciniche strategie processuali. Oppure, al contrario, succede che non si intervenga per sottrarre i figli a genitori con acclarate patologie psichiche e comportamenti violenti, laddove il meccanismo familiare, per disponibilità economiche o peso sociale del nucleo, anestetizza gli interventi pubblici. La cronaca è piena di episodi che danno la cifra delle “falle” del sistema e che in molti casi hanno avuto epiloghi tragici.
Al contempo, è insopportabile la sensazione che l’esercizio di questi interventi si realizzi soprattutto rispetto a vicende individuali, nelle quali l’azione “forte” dello Stato può essere agevolmente dispiegata senza che chi la subisce abbia gli strumenti per difendersi adeguatamente. Insomma, è un sistema malato e mal funzionante quello che regola il tema della tutela del minore e che trova le sue causali in una serie di fattori, di cui i principali sono, a mio avviso, l’inadeguatezza dei servizi sociali territoriali, l’approccio burocratico dei Tribunali e, in generale, la poca voglia del sistema di affrontare le questioni più complicate. A questo proposito lasciatemi operare un confronto indubbiamente provocatorio: perché si allontanano i figli della “famiglia che vive nel bosco” mentre si tace, si resta immobili, si manca completamente di intervenire ad esempio per le migliaia di minori, costretti a vivere non solo in condizioni di disagio, ma addirittura nel più totale degrado sociale e morale, nei tanti campi rom di questo Paese?
Nei giorni scorsi, il vicepremier Matteo Salvini si è recato presso quello di Giugliano, documentando una drammatica situazione di abbandono, un “inferno in terra” dove si sopravvive tra sporcizia, rifiuti e roghi tossici, senza acqua corrente, senza la possibilità di andare a scuola e di integrarsi, sul quale però le Istituzioni locali, gli assistenti sociali e il Tribunale dei minori non intervengono. La risposta di molte forze politiche è stata quella di “buttarla in caciara”, di rifugiarsi nel “benaltrismo”, di parlare di speculazione politica e così via, obliterando il cuore della questione. Che invece è chiara. Perché rispetto a casi eclatanti e arcinoti come questi il sistema assistenziale e giudiziario non si muove? La risposta temo stia proprio nella doppia morale che purtroppo vige in questo Paese, una doppia morale con la quale si usa intervenire sul singolo caso isolato e agire nei confronti di chi spesso non ha né i mezzi per difendersi, né “l’esercito dei buonisti” a perorare la sua causa, mentre si resta immobili sui disastri più estesi e più gravi perché costa fatica, crea problemi a chi deve gestire la questione, nel migliore dei casi espone a critiche.
È su questo punto allora che bisogna aprire una seria discussione bipartisan, perché la tutela dei minori non può né deve, avere colore politico, né seguire una linea ideologica, per giunta completamente scollata dalla realtà dei fatti e lontana dal buonsenso. Allo stesso tempo va avviata una profonda riflessione anche sui fattori e le responsabilità che hanno portato a questa pericolosa situazione e sul vuoto dell’azione istituzionale su di un tema fondamentale come quello del sostegno e della tutela dei minori. Partendo anche da un aspetto, per niente secondario, che condiziona l’approccio a molte di queste vicende: quello economico. L’affidamento di bambini e ragazzi a “case famiglia” produce un giro d’affari di circa quattro miliardi di euro l’anno! Quello delle comunità per minori è una “attività” tra le più floride, con rette pagate dallo Stato che possono variare dai 100 ai 400 euro al giorno per minore ospitato, a seconda del livello di assistenza offerto, del territorio e della stessa struttura. A fronte di questi numeri, è naturale che sorga qualche dubbio e più di un interrogativo: ad esempio, a chi fa gioco un sistema come questo caratterizzato da luci (poche) ed ombre (tante), rispetto al quale i controlli sono insufficienti e non vengono eseguiti come dovrebbe essere fatto? Insomma, doppia morale, finto buonismo, impreparazione ad affrontare le criticità, mancanza di interventi efficaci.
Ma qualche luce c’è. Nel Decreto Caivano - grazie al grande lavoro del ministro Giuseppe Valditara - è stata inserita una norma che punisce seriamente la violazione dell’obbligo scolastico. I genitori che commettono questo tipo di reato oggi sono passibili di una pena fino a due anni di reclusione, mentre prima si poteva solo multarli con una sanzione amministrativa di poche decine di euro. L’effetto nella sola provincia di Napoli, da sempre in testa alla drammatica classifica della dispersione scolastica, è stato immediato e straordinariamente positivo: due ragazzi su tre sono tornati tra i banchi di scuola. Non è certo cambiato il mondo e i problemi restano tanti, ma la lezione che ne deriva è chiara: affrontare le questioni con consapevolezza e determinazione aiuta a trovare le giuste soluzioni.
Ebbene - mi domando retoricamente - quale argomento più importante esiste se non quello del futuro e delle prospettive di chi si affaccia alla vita in una condizione di difficoltà? Non è questo un tema rispetto al quale tutti coloro che hanno responsabilità di governo, di amministrazione, anche della giustizia, dovrebbero sentire il dovere di dare il massimo del loro impegno? Meditate, gente, meditate.
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