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14 Dicembre 2025 - 21:38
Zelensky e Putin
Saremmo al penultimo atto. Il condizionale è d’obbligo quando si parla del conflitto in Ucraina e di compromessi definiti “piani di pace”, che si annunciano a Washington e s’approvano in Europa, ma per capovolgerli e via daccapo. Oggi a Berlino s’incontrano gli inviati speciali di Donald Trump, il negoziatore ‘personale’ Steve Witkoff e il genero Jared Kushner, con i capi del gruppo dei Volenterosi – il presidente francese Emmanuel Macron, il cancelliere tedesco Friedrich Merz e il premier britannico Keir Starmer , più Giorgia Meloni e il segretario della Nato, Mark Rutte. Previsti vertici dell’Ue e altri leader europei. E, ‘last but no last’, Volodymyr Zelensky cui spetterebbe la parola finale, che finora è stata: accetto, però…
Sul tavolo l’ultima versione del “piano di pace” che parte dall’indicazione - un decennio fa - di Henry Kissinger: una tregua modello coreano. Ne parlammo su queste pagine all’indomani dell’avvio della maldestra ‘Operazione speciale’. Trump ha il merito di essersi mosso lungo quel solco nelle trattative con Vladimir Putin. Ma a Kiev e a Bruxelles si pensava diversamente. Vedremo se basteranno alla svolta il cessate-il-fuoco lungo la linea del fronte, una “fascia smilitarizzata” nel 13% del Donbass ancora in possesso dell’esercito ucraino e l’impegno formale statunitense a difendere l’Ucraina da un nuovo attacco russo.
Impegno che la Casa Bianca ha dichiarato subito di accettare. Il Cremlino, infatti, ha ripetuto e sottolineato che gli obiettivi erano e restano soltanto due: recuperare le regioni storicamente russe - dal golpe a Kiev, a cavallo del 2014, fatte oggetto di una feroce repressione - e impedire l’ulteriore avanzamento della Nato con l’adesione dell’Ucraina, attraverso un trattato formale a provarne la neutralità. A differenza del 1991, quando il Patto di Varsavia venne sciolto e Mosca si accontentò della promessa (poi tradita) di un’Alleanza Atlantica ferma sui confini tedeschi.
Beninteso che non v’è unicamente questo sul tavolo. Nel progetto Usa rielaborato si prospettano affari per gli Stati Uniti, per Kiev e per gli alleati europei nella ricostruzione di un Paese devastato dalla guerra. Si prevedono elezioni democratiche in Ucraina (e qualcuno le ipotizza ‘guidate’ per impedire che agli uomini del regime corrotto si chieda conto delle centinaia di migliaia di vittime e del disastro delle immani distruzioni, in modo da sfuggire al linciaggio o ai plotoni d’esecuzione per un risultato che poteva essere raggiunto subito pacificamente. Ai negoziati di Istanbul, infatti, il Cremlino chiedeva a Kiev di riconoscere la sovranità russa sulla Crimea e il riconoscimento reale degli Accordi Minsk circa l’autonomia di Donetsk e Luhansk (i due Oblast del Donbass), Kherson e Zaporizhzhia.
Sullo sfondo il recupero di relazioni feconde, economicamente e strategicamente, con la Russia da parte dell’America e, a seguire, dell’Europa. La partita immediata si gioca con la Cina nell’Indo-Pacifico (e non solo) per regolare il futuro equilibrio internazionale multipolare.
Sul tappeto s’è, tuttavia, aggiunto il congelamento da parte Ue dei fondi sovrani russi (210 miliardi di euro) depositati sull’Euroclear di Bruxelles. Per i Volenterosi significherebbe servirsene per finanziare il regime di Kiev senza rischiare contraccolpi elettorali interni. Non sarà, però, facile né indolore. C’è stato il no di Ungheria e Slovacchia e al fronte contro la “mafia favorevole al conflitto” si aggiunge ormai la Repubblica ceca con il nuovo premier Andrej Babis. Un precedente storico che ha provocato ricorsi legali e prossime ritorsioni da parte di Mosca.
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