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L'analisi

UE aiuta Kyiv, ma resta fragile. Unanimità formale, crepe vere

Nella politica il senso di realtà è gran parte di ciò che conta, altrimenti è la realtà a farsi riconoscere, sorprendendo l’ingenuo

Il sovranismo regionale stroncato da Bruxelles

Dopo lunga gestazione, i 27 Paesi che compongono l’Europa hanno finalmente raggiunto un’intesa sulle modalità attraverso le quali sostenere l’Ucraina nella sua lotta di resistenza contro l’aggressione della Federazione Russa.

L’hanno raggiunta, peraltro, solo formalmente all’unanimità, perché il meccanismo finanziario concordato non impegna tutti allo stesso modo. Repubblica Ceca, Ungheria e Slovacchia, infatti, non saranno coinvolte nello sforzo di sovvenzionamento a Kyiv, avendo da tempo manifestato la loro contrarietà a sostenere ulteriormente la difesa del Paese aggredito contro le armate di Putin e, solo a patto di non dover contribuire, hanno prestato il loro consenso alla decisione dell’Unione, insomma non hanno opposto un paralizzante veto.

In che consiste la strategia per gli aiuti? Semplice: l’Europa s’indebiterà sul mercato finanziario emettendo bond garantiti dal proprio bilancio ed assicurando così una provvista di circa 90 miliardi di euro per i prossimi due anni: che, se non sono sufficienti a coprire le spese miliari ucraine e più generalmente della macchina dello stato, sono certamente un essenziale apporto d’ossigeno per l’ex Repubblica sovietica, altrimenti destinata con ogni probabilità in pochi mesi al collasso ed alla capitolazione.

Dunque, la decisione europea non è cosa da poco. Solo che essa mette in evidenza la grave debolezza che caratterizza un’istituzione, quella dell’Unione europea, nata e sviluppatasi senza spirito politico ed essenzialmente per fungere da camera di arbitraggio tra potentati economici.

Quel che le manca, e sempre le è mancato, è la capacità d’essere un protagonista nella dimensione politica globale, essere cioè un riferimento valido per la protezione degli interessi molteplici – territoriali, culturali, religiosi, d’integrazione e solidarietà sociale, di concentrazione e coordinamento della forza militare – che fanno la complessità della politica e le consentono d’essere mediazione con l’altro fondamentale plesso d’interessi, quelli economici, appunto. Certo, la scelta, si diceva, non è stata cosa dappoco.

Finanziando l’Ucraina e consentendole, almeno nelle aspettative – perché nelle guerre tutto può accadere, anche nello spazio del breve volgere di qualche settimana – di resistere all’esercito di Mosca, l’Europa un posto l’ha occupato nello scenario internazionale. Per una ragione semplice.

Essa ha assunto una posizione che indebolisce significativamente quello strumento di pressione del quale il presidente americano Trump si stava servendo, attuando una politica di messa alle corde del Paese dei girasoli, levandole di fatto il decisivo sostegno finanziario e d’armi che gli Stati Uniti avevano sino a poco prima assicurato.

Certo, l’energetico Presidente potrebbe aver chiuso i rubinetti anche per costringere l’Europa al risveglio dal proprio torpore e dal proprio atteggiamento gregario quando non anche parassitario; ma di sicuro, attraverso quella scelta stava costringendo il presidente Zelensky e lo stesso parlamento di Kyiv a cedere a condizioni davvero assai sfavorevoli.

Dunque, uno spazio politico l’UE, o almeno i suoi Paesi più influenti, l’hanno creato ed occupato. Però, la debolezza del tutto è di piena evidenza, e non solo per l’esenzione che si è dovuta garantire alle tre repubbliche sopra ricordate per acquisirne il consenso; ma soprattutto perché la vera soluzione che avrebbe dovuto adottarsi per infliggere a Mosca un colpo decisivo e mostrare la forza dei 27, sarebbe stata quella di far uso dei circa 185 miliardi di euro di asset russi che Euroclear detiene in Belgio e che allo stato sono semplicemente congelati.

Questo avrebbe dimostrato la capacità di decisione e la forza delle istituzioni unionali le quali – in luogo d’autoindebitarsi per un prestito che non si sa se e quando potrà mai essere restituito dall’Ucraina –avrebbero cominciato ad assumere decisioni seriamente afflittive per lo stato federale russo, inferendogli uno smacco – oltre che un serissimo danno finanziario – con potenzialità anche destabilizzanti.

Non a caso, immediatamente dopo la decisione europea, il Putin si è vantato del fallimento di quello che ha definito un tentativo di saccheggio delle finanze russe.

Ad aver giocato sule scelte dei 27 certamente è stata, non solo la preoccupazione per i riflessi sui mercati finanziari di una confisca di tal portata, al di fuori delle regole giuridiche del gran capitale – ma perfettamente nel perimetro di quelle politiche dettate dallo stato di necessità; ma anche è assai probabile che su questa scelta poco coraggiosa abbiano anche influito le condizioni di debolezza dei Paesi europei, del tutto impreparati sul piano militare ed anche poco attrezzati per resistere alle molteplici forme d’attacco ibrido o convenzionale che l’autocrate russo sarebbe ben in grado di porre in atto, potenziando iniziative che peraltro ha già da tempo spavaldamente avviato.

In questo senso, le parole del Presidente della Repubblica che ha dato un assist alla politica di allocazione di risorse finanziarie per il potenziamento delle nostre difese militari, assumono oggi un senso pregnante.

Le prospettive dei prossimi anni – Putin o non Putin – lasciano intravedere un radicarsi delle tensioni tra blocchi, cui s’assoceranno, e si sono già associate, politiche economiche e commerciali altamente conflittuali.

Il Presidente russo, attraverso suoi emissari, pare sia giunto a minacciare fisicamente il capo del governo belga e dirigenti di Euroclear per l’ipotesi si fossero azzardati a metter mano ai depositi della Federazione: si sa che quando si tocca il danaro, il malaffare reagisce nei modi più radicali.

Ed è quindi evidente che la necessità di munirsi degli strumenti difensivi ed offensivi per contrastare simili scenari si fa sempre più indifferibile, perché senza la forza delle armi sullo sfondo, anche il campo economico non è in grado di usare i propri strumenti di dissuasione. È triste ci si sia ridotti a questo nel chiudere dell’Anno Domini 2025, ma nella politica il senso di realtà è gran parte di ciò che conta, altrimenti è la realtà a farsi riconoscere, sorprendendo l’ingenuo.

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