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CARTE DA VIAGGIO
23 Dicembre 2025 - 09:28
Le emozioni della Supercoppa italiana sono in archivio. Un trofeo che ci siamo abituati a vivere da lontano, perché la gloria la puoi inseguire dappertutto, ma i soldi no. L’Arabia Saudita ha fatto scendere in campo i suoi petrodollari e ha vinto, anche quest’anno, come in un recente passato, la sua sfida.
C’è un accordo, tacitamente rinnovato, che prevede la celebrazione della Supercoppa italiana a Riad almeno fino al 2028, poi si vedrà. È la logica dei numeri e dei premi, chi resta legato al tricolore può accomodarsi altrove. E poco importa se, in queste giornate, lo Stadio King Saud University abbia lasciato gli spalti mezzi vuoti, che il tifo sia sembrato generalmente un optional, che qualche sciarpa sia stata distribuita generosamente tra tuniche e mantelli.
È la legge del business, signori. E bisogna semplicemente adeguarsi. Ma dove va questo pallone italico? Quali nuovi scenari va aprendo? Interrogativi legittimi se si pensa che, già il prossimo 8 febbraio, Milan-Como di campionato avrebbe dovuto disputarsi a Perth, in Australia e che l’Asian Football Confederation aveva preteso che il match fosse diretto da arbitri asiatici. Un bel rebus, soprattutto per chi avrebbe dovuto fornire indicazioni dal Var.
Da Lissone o da chissà dove. Sembra che, all’ultimo momento, per una questione di dettagli, l’accordo sia saltato ma il solco appare tracciato. Insomma, è la nuova frontiera del calcio nazionale. Prima le Coppe, poi il campionato, tutto è trasferibile, tutto è esportabile. E l’identità?
Il rapporto viscerale con la città ed il territorio? Quello conta sempre di meno, anzi. C’è sempre qualche canale pronto a mandare in diretta l’evento, a paralizzare i tifosi davanti allo schermo. E poi, considerando l’obsolescenza dei nostri stadi, come possono essere messi in discussioni questi impianti moderni, magari ipertecnologici, dotati di ogni tipo di comfort per i giocatori e per il pubblico?
In sintesi, la globalizzazione del calcio italiano continua. Metà delle società di serie A hanno proprietà straniere. Otto dagli Stati Uniti ma anche da Canada e Indonesia. Normale che, prima o poi, l’orizzonte dovesse aprirsi. Ora, si cercano nuovi stadi, nuovi tifosi, nuovi business perché maggiore popolarità vuol dire anche crescita dei profitti e del merchandising mentre il pallone rotola, ormai, verso nuove frontiere.
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