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L'analisi
29 Dicembre 2025 - 08:02
È di questi giorni la notizia dell’impegno profuso dalla Procura regionale presso la Corte dei conti della Campania al fine di porre rimedio a quella deteriore pratica, molto in voga a Napoli, di occupare abusivamente suolo pubblico da parte di esercenti attività commerciali, principalmente baristi e ristoratori, ma anche altre categorie non disdegnano.
È una condotta particolarmente riprovevole, perché emblematica di una mentalità più generale. Quella, assai diffusa nelle culture che avvertono poco il senso del civico – e dunque della civiltà – di ritenere i beni pubblici come cosa di nessuno, pronta quindi ad essere oggetto di appropriazioni opportunistiche con finalità egoistiche, nella prospettiva che le reazioni dell’autorità non ci saranno o parecchio tarderanno.
Ed è questo il segno di una mentalità spiccatamente asociale, purtroppo favorita da un contesto spesso trasandato e da un generale disinteresse dei cittadini per la cura di quel che è di tutti.
Non è sempre vero, che reazioni non ci saranno, ma è pur vero che esse sono troppo di frequente inadeguate ed ancor più giungono troppo tardi, quando il rimedio rischia d’essere peggiore del male: come insegna un’altra vicenda, quella lunga ed assai penosa dei chioschi sul lungomare, lasciati prosperare per decenni con sotterfugi ed improbabili accomodamenti amministrativi, di modo che intorno ad essi è andata formandosi un’economia per molte famiglie.
Sino a quando non è intervenuta la Procura della Repubblica in modi traumatici e certamente generatori di conseguenze per gli esercenti assai più gravi di quanto una graduata e ben studiata azione amministrativa avrebbe potuto fare, anche trovando per tempo forme di regolarizzazione ed integrazione, in cui pubblico e privato interesse avrebbero potuto rendersi compatibili.
Certo, non è un caso che ad attuare queste politiche di legalità siano organi della giurisdizione, una volta la Procura penale, un’altra quella contabile. Questo significa molte cose.
Anzitutto, significa che le amministrazioni pubbliche, che hanno anima politica, spesso non hanno la forza per intervenire con i mezzi di cui dispongono, che sarebbero molto più flessibili ed articolati di quelli che aziona la magistratura.
La magistratura, in sostanza, può limitarsi a constatare che c’è stata una violazione; ed una volta che la rileva, può soltanto imporre sequestri e sanzioni.
Le amministrazioni possono invece articolare i loro provvedimenti con maggiore gradualità, distinguendo caso da caso, prime volte da recidive, discutendo con l’operatore, anche eventualmente per rivedere il titolo concessorio, se possibile ed opportuno o anche rivisitando le relative regolamentazioni, spesso non più al passo con i tempi.
I ritardi nella sede amministrativa finiscono poi con l’aggravare le conseguenze del fenomeno, perché quando interviene l’autorità giudiziaria tutto il contorno s’irrigidisce: ivi compresi gli uffici amministrativi che cominciano a temere per loro stessi e dunque sono meno disponibili a trovare le forme più adeguate alla composizione degli interessi.
Ma bisogna dire che anche le stesse associazioni di corporative – quelle alle quali spetta di tutelare gli interessi di categoria, non dei singoli associati – mostrano poca incisività sulle condotte individuali di singoli appartenenti, che tornano poi in danno degli interi settori interessati.
Compito delle associazioni non è solo quello di tutelare gli interessi degli associati verso l’esterno, facendo valere le legittime istanze che l’esperienza fa emergere; è anche quella di svolgere attività di prevenzione e promozione culturale, di modo che gli operatori mantengano al possibile condotte virtuose, che non espongano essi stessi e la reputazione della categoria ai danni che le sanzioni producono concretamente, ed idealmente nella considerazione collettiva.
Anzi, ci sarebbe da dire che un maturo sistema commerciale – un maturo ambiente sociale – dovrebbe distinguersi proprio per la capacità che le sue forme d’organizzazione e di vigilanza collettiva hanno nel prevenire condotte deviate e devianti e nell’indurre a comportamenti rispettosi delle regole del vivere civile. Quando ciò non è, a soffrirne non è un singolo settore, ma l’intero contesto a rimanerne squilibrato, con conseguenze le più varie.
Proprio di questi giorni è la riforma della Corte dei conti, che il Parlamento pare varerà entro il 31 dicembre, con la finalità di limitare il sindacato sul danno erariale ai soli casi in cui il pubblico amministratore abbia attuato condotte pregiudizievoli del patrimonio pubblico con intenti dolosi e non solo gravemente colposi.
Ed inoltre, sempre questa riforma, limiterà in ogni caso la possibile condanna per danno al patrimonio pubblico prodotto da condotte di amministratori infedeli, non più commisurandola al pregiudizio prodotto, bensì nei limiti di un certo ammontare della retribuzione percepita dal funzionario.
A questa situazione di obiettiva riduzione del ruolo della corte dei conti si è giunti in esito ad una sua giurisprudenza, mostratasi particolarmente afflittiva nei confronti dei funzionari sottoposti a giudizio: ed anche in quel caso, questa giurisprudenza che spesso ha forzato i confini (producendo l’attuale riforma quale reazione) si è avuta per l’assoluta mancanza di reazione alle condotte amministrative indebite ad altri e più appropriati livelli dell’ordinamento (vigilanza interna, disciplinare, organismi di garanzia).
Quando all’interno di un sistema, ciascuna delle sue componenti non svolge per tempo e con efficacia i propri compiti nascono disfunzioni, supplenze (e quella della Corte dei conti sulle occupazioni abusive supplenza certamente è), squilibri, reazioni imprevedibili. Ed il risultato finale sarà certamente assai peggiore di quel che avrebbe potuto essere senza troppo impiego d’energie.
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