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la riflessione

Adolescenti fragili o adulti disattenti?

La fragilità non è una patologia, ma una condizione evolutiva

Adolescenti fragili o adulti disattenti?

Negli ultimi anni l’adolescenza è stata sempre più spesso descritta come un’età fragile, instabile, problematica. Un’etichetta che rischia però di semplificare una questione complessa e, soprattutto, di spostare l’attenzione esclusivamente sui ragazzi, dimenticando il ruolo decisivo degli adulti. La vera domanda non è solo quanto siano fragili gli adolescenti di oggi, ma quanto siano presenti, competenti e responsabili gli adulti chiamati ad accompagnarli. L’adolescenza è, per sua natura, un tempo di trasformazione.

Cambia il corpo, cambia il modo di pensare, cambia il rapporto con l’autorità. La fragilità non è una patologia, ma una condizione evolutiva. Diventa un problema quando non trova adulti capaci di reggere l’incertezza, il conflitto e la richiesta implicita di guida. In molti contesti, invece, l’adulto appare incerto, oscillante tra il controllo e la rinuncia, tra l’iperprotezione e l’assenza. Famiglia e scuola sono oggi spesso sovraccariche di aspettative e responsabilità. Agli insegnanti si chiede di istruire, educare, prevenire il disagio, supplire alle carenze sociali; ai genitori di essere presenti, comprensivi, autorevoli, sempre competenti.

Eppure, ciò che manca non è l’impegno, ma una visione educativa condivisa. Senza un progetto educativo comune, l’adolescente resta solo di fronte a richieste contraddittorie. L’autorevolezza non coincide con l’autoritarismo, ma con la capacità di essere punti di riferimento stabili. Dire dei “no” sensati, mantenere regole chiare, offrire ascolto senza rinunciare alla responsabilità sono atti educativi fondamentali. Quando l’adulto abdica al proprio ruolo per paura di sbagliare o di perdere consenso, lascia il ragazzo senza coordinate.

Anche il contesto digitale amplifica questa disattenzione adulta. Gli adolescenti sono spesso lasciati soli a interpretare un mondo iperconnesso, veloce e performativo, mentre gli adulti osservano da lontano o intervengono solo in emergenza. Educare nel digitale significa esserci, non controllare; accompagnare, non giudicare. Parlare di fragilità adolescenziale senza interrogarsi sulla qualità della presenza adulta rischia di diventare un alibi culturale. Educare è una responsabilità pubblica che richiede tempo, competenza e coerenza.

Gli adolescenti non chiedono adulti perfetti, ma adulti presenti, capaci di assumersi il compito – complesso ma imprescindibile – di indicare una direzione. In definitiva, forse la domanda più onesta non è se gli adolescenti siano fragili, ma se noi adulti siamo davvero pronti ad educare. Educare in fondo non è chiedere ai più giovani di essere invincibili, ma mostrare loro che si può essere fragili e, nonostante tutto, andare avanti.

*Pedagogista clinico, giuridico e famigliare

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