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il punto
30 Dicembre 2025 - 09:16
“Due sole settimane alla pace, abbiamo superato il 90% degli ostacoli”. Vedremo se parola o parole di Donald Trump. Mancano solo i destini di un 5% di territorio del Donbass e di un 5% di controllo della centrale di Zaporizhzhia. Ma già Volodymyr Zelensky rientrato in patria sottolinea i distinguo e le riserve su questo e altri punti. E i Volenterosi che non condividono i dilemmi, le prudenze e i silenzi del governo di Roma, gli correranno in soccorso ancora una volta? Ma che l’agonìa di Kiev si protragga o meno, la guerra persa in partenza è avviata alla fine. Fu una facile profezia, la nostra, all’indomani dell’ “Operazione speciale” che pure testimoniava il degrado delle forze convenzionali russe. E ora? Tutto questo sangue, tutta questa ostinata volontà di autodistruzione per che cosa?... Avrà il coraggio, Zelensky dell’esilio? Avranno la dignità, i leader europei suoi sostenitori, di recitare un doveroso ‘mea culpa’?
Zelensky è giunto a casa di Donald Trump in Florida con il peso dell’ultimissimo scandalo della ‘Banda Bassotti’ del regime, scoppiato addirittura nella presunta basilica della democrazia -- il parlamento -- grazie alle indagini (probabilmente partite dalla soffiata di un’Intelligence straniera) sia del Nabu, l’Ufficio nazionale anti-corruzione, sia della Sapo, la Procura speciale anti-corruzione. I due centri di controllo che il presidente autoprorogatosi aveva tentato di chiudere per poi rimangiarsi l’apposita leggina a causa delle proteste popolari e del disappunto dei suoi alleati. Un dittatore, Zelensky, giunto a ripararsi dietro una legge marziale che ha rivolto contro oppositori e dissidenti per una recita da ‘pagliaccio tragico’ costata alla nazione almeno mezzo milione di vittime, una decina di milioni tra emigrati e renitenti alla leva fuggitivi, devastazioni spaventose, una ricostruzione valutata mille miliardi di euro che dovrebbero sborsare… i contribuenti europei. E semmai con la speranza nella cerchia del potere di spartirsene una buona porzione. Non aveva torto Viktor Orbàn a denunciare che ”tutti i Paesi dell’Ue -- tranne Ungheria, Slovacchia e Repubblica ceca -- sono stati favorevoli alla decisione estremamente sbagliata del prestito a Kiev, perché avvicina l’Europa alla guerra e perché gli ucraini non potranno mai ripagarlo”.
Una sequela impressionante di ruberie sulla pelle dei compatrioti e dei contribuenti dei Paesi sostenitori che non trova voce nei leader europei, i quali, salvo lodevoli eccezioni (fortunatamente in aumento), continuano nell’oscena cerimonia degli abbracci-e-baci con il presidente autoprorogatosi. E hanno fatto finta di non sentire le accuse rivolte loro da Tulsi Gabbard, responsabile dell’Intelligence Usa per l’estero, che incolpava i Volenterosi di fare i “guerrafondai” con una “propaganda sulla Russia che vorrebbe invadere l’Europa quando non ne ha la caacità come dimostra il fatto che non è riuscita finora a conquistare l’intero Donbass”.
Resta che il conflitto va spegnendosi con la perdita di quella parte delle regioni russofone che il regime di Kiev non voleva restituire ma cui neppure voleva concedere l’autonomia promessa. E che Mosca si è progressivamente annessa a partire dal golpe dell’Euromaidan a cavallo del 2014, passando per gli Accordi di Minsk traditi e per anni ed anni caratterizzati da feroci combattimenti e da durissima repressione dei russofoni, cui si è negato persino la lingua (peraltro la più diffusa) e il rito confessionale cristiano ortodosso d’osservanza moscovita. E questo, con il sostegno delle peggiori leadership statunitensi (Barack Obama e Joe Biden) ed europee di questo primo quarto di secolo.
Vale la pena sottolineare che se il massacro terminerà il merito sarà solo della Casa Bianca. Gli americani si sono liberati in tempo delle “famiglie” – segnatamente del partito Democratico ma anche di quello Repubblicano -- sotto influenza dei Neocon, prigioniere di Deep State e Apparato militar-industriale, quasi tossicodipendenti di una globalizzazione rivelatasi favorevole soprattutto alla Cina (ammettiamolo: grazie a una leadership, sì, totalitaria ma finora lungimirante per i propri interessi), e che a Pechino hanno regalato una Russia riconoscente, in forniture d’energia, per la solidarietà ricevuta.
Vengono in mente le parole di un parlamentare ucraino imprigionato, Oleksandr Dubinskyi, la cui eco mi giunge dai social. “Grazie, presidente Trump, per i vostri continui sforzi per raggiungere la pace in Ucraina. Sfortunatamente, questi sforzi sono costantemente sabotati dalla fazione favorevole al proseguimento del conflitto (formata da) élite legate a Zelensky e al complesso militar-industriale europeo, che domina i media sotto la censura del tempo di guerra. Queste élite mascherano il loro desiderio di prolungare la guerra – dove i poveri muoiono e i ricchi traggono profitto – (dietro) una massiccia campagna di disinformazione. Oltre il 70% degli ucraini sostiene la pace immediata, ma le loro voci vengono represse dal regime di Zelensky attraverso torture, persecuzioni extragiudiziali e condanne al carcere per accuse di tradimento inventate. L'Ucraina ha 30 mila prigionieri politici, più di Russia e Bielorussia messe insieme”.
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