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19 Ottobre 2016 - 14:56
Si apre domani a Roma, nella storica sede di via della Scrofa, l’esposizione che racconta settant’anni di battaglie missine. Il cammino di un popolo che segnò la storia d’Italia
di Vincenzo Nardiello
ROMA. Più vai avanti, più ti pare di toccarla. Più ti scorrono dinanzi agli occhi quelle immagini - i manifesti del Msi, gli striscioni, i cortei, i giornali, i comizi di Almirante - più ti pare di vederla. Eh sì, perché quando la Sichozell era pronta te ne accorgevi subito: nel secchio rosso - l’unica cosa di quel colore che potevi concedere - l’acqua diventava un impasto melmoso. La colla perfetta. Voleva dire che era tutto pronto per una nuova uscita. Le “uscite”, come si chiamavano all’epoca, ti lasciavano addosso l’adrenalina di una missione dietro le linee nemiche. Perché quella era la guerra dei manifesti. E violare un muro, coprire un simbolo del nemico (“avversario” era un inutile eufemismo), attaccare la Fiamma sulla falce e martello o lo scudo crociato beh, era un po’ come conquistare un avamposto ostile. Battaglie notturne fatte di colla e carta, quando l’attività politica era concepita come lotta. Le “uscite” bisognava farle in gruppo, perché il nemico poteva capitare d’incontrarlo davvero. In carne e ossa. E allora potevano essere guai.
Ecco, è anche ai tanti protagonisti anonimi di quelle “uscite”, soldati disinteressati dell’idea, che 70 anni dopo la nascita del Msi la Fondazione An ha voluto fare l’omaggio di raccontare e ricordare il cammino di un popolo. È “Nostalgia dell’avvenire”, la mostra - ideata da Marcello Veneziani e curata da Giuseppe Parlato - che ricorda i 70 anni di vita del Msi e vede la destra tornare nella storica sede di via della Scrofa. Documenti, fotografie, riviste, video e musiche raccontano il mondo degli “esuli in Patria” che si ritrovarono quel 26 dicembre 1946 per dar vita a una vicenda che, comunque si giudichi, ha segnato la storia d’Italia. La fiaccola - quella della memoria, almeno - non si è mai spenta né sembra intenzionata a farlo, se è vero che alla mostra che si aprirà domani alle 16 a Roma, in via della Scrofa 43, dicono che siano attesi anche tanti giovani.
Agli ex ragazzi del Msi è dedicata una particolare sezione dell’evento. Giovane Italia, Fronte della gioventù e Fuan sono altrettanti miti della destra. Luoghi, prima ancora che organizzazioni, dove sono transitati centinaia di migliaia di ragazze e ragazzi che lì hanno formato spesso la loro personalità, lì sono passati dall’adolescenza all’età adulta, lì magari hanno anche trovato l’amore. E la morte. Sì, perché nella lunga traversata della destra il nero del lutto ha pesato tanto quanto il significato politico che quel colore rappresentava. Sono le vite spezzate dei giovani missini caduti nella più sporca delle guerre che l’Italia abbia combattuto: quella civile. Finita ufficialmente nel 1945, si protrasse a bassa intensità fino agli anni ’80.
Un partito, il Msi, autenticamente popolare e interclassista; radicato nella società e nei suoi corpi intermedi in maniera talmente forte da riuscire a resistere ai tanti scossoni, tentativi di sradicamento e persecuzioni giudiziarie che pure dovette fronteggiare. Nato sotto il segno dei vinti - un’impronta che avrebbe marchiato nel profondo tanti militanti, che pagarono con l’ostracismo sociale e professionale la loro difficile scelta - il Msi non si tirò mai indietro.
L’aspetto fondamentale che la mostra evidenzia è proprio questo: la storia del Msi è un pezzo della storia d’Italia. Ne fa parte. Gli è indissolubilmente legato. Lo testimoniano i tanti passaggi decisivi immortalati in manifesti, foto, documenti, in larga parte provenienti dalla Fondazione Ugo Spirito-Renzo De Felice e dall’archivio del Secolo d’Italia: Trieste, Genova, gli anni di piombo, Reggio Calabria, tangentopoli, fino alla fondazione di An e alla nascita del centrodestra che rese possibile la democrazia dell’alternanza. «Un’epoca storica che ha visto il partito dei vinti della seconda guerra mondiale, delegittimato dalla politica, imporsi all’attenzione dell’opinione pubblica con le armi del consenso democratico», recita il catalogo della mostra.
Soprattutto emerge chiaro il profilo di un partito che era molto più di quell’associazione di reduci e con la testa perennemente rivolta al passato che tante ricostruzioni interessate hanno voluto accreditare. Mentre erano ancora vive l’epurazione e le vendette cielleniste, nella Fiamma tricolore arrivarono sì combattenti della Rsi e reduci dai campi di prigionia, ma soprattutto accorsero giovani e giovanissimi che la guerra non l’avevano fatta.
Chi ha visto le sezioni missine ricorderà che alle “nostalgie” dei vecchi si guardava con rispetto, ma si coltivavano soprattutto visioni del futuro e analisi del presente che nulla avevano da invidiare ai partiti del cosiddetto arco costituzionale. La Nuova Repubblica, il progetto presidenzialista, fu solo la punta più avanzata di un’elaborazione culturale di tutto rispetto. Un dibattito che resta all’ordine del giorno ancora oggi. Ma ci fu molto altro. La partecipazione dei lavoratori agli utili e alla gestione delle aziende resta al tempo stesso la proposta più rivoluzionaria e innovativa, ma anche quella che gettava un ponte ideale tra passato e presente, legando il nuovo partito all’idea di collaborazione tra capitale e lavoro. E poi ancora: la battaglia per l’Esercito volontario e professionale, divenuto realtà a distanza di decenni; la giustizia sociale; la convinzione che senza cultura la politica si sarebbe ridotta a mero esercizio di potere; l’ostinata volontà di tenere «accesa la passione per l’Italia anche quando era spenta, svilita, negata», per dirla con le parole di Veneziani; la lotta per la pacificazione nazionale che accompagnò il Msi fin dal suo primo respiro (l’“Appello agli italiani”), mentre il sangue versato nella guerra civile era ancora caldo e il fuoco della vendetta bruciava obnubilando anche le menti più aperte e gli spiriti più miti. Battaglie che hanno contribuito a migliorare l’Italia e a sottrarla alla sbornia del marxismo.
E poi i grandi condottieri del Msi. Su tutti Almirante e poi Tatarella, l’uomo che con “Destra in movimento” e un’interminabile serie di iniziative editorali (fu lui a riportare il Roma nelle edicole) aprì la strada che avrebbe portato ad An e alla destra di governo. La gigantesca occasione perduta da leader troppo piccoli per reggere una storia così grande.
Chi c’era e chi no, troverà in questa mostra l’intera vicenda del Msi. Dalle origini, con la prima segreteria Almirante, a De Marsanich, Michelini, la seconda segreteria Almirante, per giungere a Fini e Rauti. Video e convegni aiuteranno a spiegare come un partito nato da una sconfitta acquisì grande consenso in molte aree della Nazione (soprattutto al Sud), rivaleggiò col Pci tra i giovani e il proletariato urbano, fino ad arrivare alla grande sfida maggioritaria dei sindaci nel ’93 e, infine, al governo.
Ne ha fatto di cammino quel popolo. È ora che l’Italia lo riconosca.
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