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Italia Viva
06 Luglio 2024 - 19:10
Flora Frate
NAPOLI. Flora Frate, deputata della 18esima legislatura e componente della Commissione Affari Costituzionali della Camera. È membro dell’assemblea nazionale di Italia Viva. Candidata nel collegio di Salerno alle ultime elezioni politiche, attualmente è la prima dei non eletti.
Onorevole, qual è il bilancio di queste elezioni europee?
«Un significativo avanzamento delle destre e una profonda confusione dell’area socialista che ripropone Ursula von der Leyen senza una riflessione autocritica. In mezzo ci sono i popolari che tengono, ma sembrano confusi sulla direzione da prendere. In questo scenario il voto francese sarà determinante».
Come vede una eventuale vittoria del Rassemblement National?
«Mi interessano le ragioni che portano alla sconfitta o alla vittoria. Si tratta di processi sociali ed economici complessi. Sicuramente l’impoverimento diffuso del ceto medio, l’insicurezza urbana e le periferie abbandonate giocano un ruolo determinante. Vedremo».
Per stare sulle ragioni della sconfitta, perché Italia Viva è andata così male a queste europee?
«Diciamolo chiaramente: le elezioni europee hanno rappresentato un momento di crisi e smarrimento per l’area riformista. Se i riformisti italiani si fossero presentati insieme, in uno stesso progetto, avremmo ottenuto non pochi seggi al Parlamento europeo. Una importante rappresentanza riformista. Purtroppo, hanno prevalso altre logiche».
Allude allo scontro Renzi-Calenda?
«Alludo a un modo di fare politica che oggi pone in evidenza tutti i suoi limiti. Alle politiche del 2022 ho accettato la sfida di costruire il Terzo Polo, sapendo che era un salto nel vuoto, senza paracadute. Ma l’ho fatto con passione e spirito di sacrificio, senza cercare garanzie di rielezione in Parlamento. Poi è iniziato il fuoco amico, i veti, gli ultimatum».
Calenda, dunque?
« Non mi interessa puntare il dito. Dico solo che non si costruisce un nuovo soggetto politico obbligando il tuo alleato alla abiura totale di sé stesso e della sua storia. Ma questo è il passato, adesso è il momento che i riformisti riflettano sul futuro. Una riflessione dirimente per la definizione di quest’area e per stabilire i rapporti con il Partito Democratico e con il Governo».
Con un passo di lato di Matteo Renzi?
«Italia viva è Matteo Renzi. Il tema, semmai, è la selezione della classe dirigente. Chi oggi occupa dei ruoli apicali forse avrebbe dovuto starsene in panchina e chi è stato in panchina meritava valorizzazione. Anche in questo si annidano le ragioni della sconfitta».
Eppure è stato proprio Matteo Renzi ad invocare un terzo nome per guidare quest’area.
«E mi sembra un ragionamento più che corretto. Aggiungo che non bastano i nomi. Servono programmi, idee, visioni, capacità di rappresentanza».
Il terzo nome potrebbe essere quello di una donna.
«Non credo che il tema politico sia il genere, ma che genere di politiche i riformisti vogliono realizzare. Con l’avvento dell’intelligenza artificiale, l’affermarsi del green new deal, con il capovolgimento del paradigma sociale, culturale e urbano delle città, l’impoverimento diffuso, una tassazione spesso insostenibile per professionisti e imprenditori cosa significa oggi essere riformisti?».
Cosa significa?
«È una sfida che va ben oltre la conquista dello scettro leaderistico. E non può ridursi ad una fusione a freddo tra partiti già esistenti. Tempo fa lessi un libro sulla storia del servizio sociale. Il riformismo è nato e si è sviluppato dentro le questioni sociali. Ecco, essere riformisti significa stare dentro il paese reale, attraversare le sue molteplici contraddizioni, ascoltare le istanze che provengono dai territori. Essere riformisti vuol dire migliorare le condizioni di vita della gente. Il resto è settarismo elitario».
Italia Viva ha annunciato il Congresso, ma sembra che adesso non sia una priorità.
«Un congresso è il più bel momento di democrazia interna per un partito. Se si farà, darò un mio contributo».
Stando sulle scelte più imminenti, alcuni osservatori sostengono che IV deve coalizzarsi col PD, come area di centro modello Margherita. Altri vedono una collocazione nel centrodestra. Lei cosa pensa?
«È utile l’opposizione solo se si portano avanti battaglie realizzabili. Salari e contrasto alla povertà, welfare ambientale, sanità e scuola. E poi i diritti civili, su cui anche la destra liberale deve interrogarsi, come ha fatto giustamente Marina Berlusconi».
Luigi Marattin (Italia Viva) ed Enrico Costa (Azione) hanno lanciato un appello ai propri rispettivi partiti per costruire un unico grande partito. È un buon inizio?
«L’appello l’ho fatto ogni mattina in classe a Bergamo, dove sono tornata ad insegnare. Come ho già detto, credo poco alle fusioni a freddo. L’asse IV e Azione non ha funzionato prima e dubito possa funzionare in futuro».
Senza un’alleanza con Azione, Italia Viva rischia però l’isolamento.
«Il tema non è l’autosufficienza di Italia Viva né l’alleanza con Azione a tutti i costi. Piuttosto, credo che IV debba ampliare la discussione a tutti coloro che non si riconoscono in un bipolarismo soffocante che costringe a scegliere tra il populismo della destra meloniana e il radicalismo massimalista. Una grande area riformista potrà rinascere solo se saprà puntare sui contenuti e non sulle sigle, sulle proposte e non sui personalismi. È una sfida epocale in un mondo che sta cambiando».
Dunque, da dove ripartire?
«Bisogna ripartire da quei territori dove abbiamo ottenuti importanti risultati. Penso alla Campania. Dobbiamo farci trovare pronti per le elezioni regionali del 2025».
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