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lettera al direttore

Cinque quesiti al voto, ma l’Italia guarda altrove

I veri problemi in Italia sono ben altri

Cinque quesiti al voto, ma l’Italia guarda altrove

Gentile Direttore, siamo, ormai, alla conclusione delle votazioni per i 5 quesiti referendari, 4 dei quali promossi dal sindacato della Cgil e uno sull’accorciamento a 5 anni per concedere la cittadinanza italiana agli immigrati regolari che abbiano un normale contratto di lavoro, voluto dai parlamentari di + Europa e dai Verdi e Sinistra. I dibattiti televisivi, gli articoli dei giornali, le stesse dichiarazioni dei leader politici si sono polarizzati su questo argomento, dimentichi che i veri problemi in Italia, nella nostra vecchia Europa, e nel mondo intero sono ben altri, con venti, anzi tempeste di guerre distruttrici, che aleggiano nella prossimità della nostra stessa Nazione.

La politica dell’ “andirivieni“ sui dazi che il Presidente Trump minaccia di imporre al mondo è un altro tassello che fa vacillare il nostro stile di vita e l’economia in generale. Non so immaginare quanto possano interessare il cittadino italiano questi 5 referendum, quando in ogni casa giunge il video dei bambini massacrati a Gaza, o gli ucraini, che fino a tre anni fa conoscevamo solo per le loro donne che venivano come badanti dei nostri genitori, oggi li apprezziamo per la strenua difesa del loro territorio contro un gigante come la Russia, Nazione più grande del mondo territorialmente, con più di 150 milioni di abitanti e con più di 4000 testate nucleari che alla fine della II guerra mondiale furono delocalizzate dagli arsenali Ucraini e portate in territori russo, in cambio del riconoscimento alla stessa Ucraina come Nazione autonoma. Ritornando al tema centrale dei referendum di domenica e lunedì prossimi, dico da subito che questa forma di “democrazia diretta del popolo”, così come formulata dalla nostra Costituzione e dalle leggi di applicazione, non mi ha mai convinto. La nostra Costituzione prevede il referendum abrogativo all’articolo 75 e ne regola la disciplina.

Ma altri tipi di referendum sono stati previsti nel tempo. QueIlo più importante di tutti fu il “referendum istituzionale“ del 27 dicembre 1946 in cui il popolo italiano fu chiamato a scegliere tra Monarchia e Repubblica. Importante pure il Referendum Costituzionale, dove si viene chiamati a ratificare se una riforma costituzionale votata da meno dei 2/5 del Parlamento ha bisogno dell’atto confermativo del Referendum Popolare: non è richiesta, in questa circostanza la maggioranza più uno degli aventi diritto al voto (si ricorderà il caso della Riforma Costituzionale del Governo Renzi, che prevedeva la riforma della Camera e Senato, bocciata dai cittadini). In pratica, su circa 80 anni di Repubblica, gli italiani sono stati chiamati ad esprimersi su 78 quesiti referendari, cui aggiungere i 5 attuali, che portano il numero a complessivi 83 quesiti, uno ogni anno. Solo tre hanno avuto esito positivo: l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti; la conferma del Divorzio; l’abolizione dell’Energia Nucleare in Italia, referendum indetto a seguito della tragedia di Chernobyl, che ovviamente ebbe largo successo in quel tempo particolare, con le conseguenze disastrose economicamente che abbiamo rinunciato al Nucleare, mentre la Francia ha centrali a Nizza ai confini dell’Italia, così pure i Paese dell’ex Jugoslavia, distanti poche metri se non al confine dell’Italia stessa. E ciò a dimostrazione che i Referendum, che vengono spacciati come “arma popolare”, se non ben “governati” finiscono con il “danneggiare” il popolo stesso.

Trovo, infatti, un “vulnus” sul ricorrere ai referendum abrogativi. In realtà, la parola stessa “abrogativo” cancella la legge, ma resta in vigore quella precedente, che probabilmente è stata superata nel contenuto dalla mutata realtà sociale. In gergo giuridico si chiama “normativa di risulta” l’approvazione di un Referendum abrogativo. Con una sentenza storica del 1993, infatti, la Corte Costituzionale ha ritenuto che sulla disciplina legislativa che residua dall’esito abrogativo del referendum, le Camere mantengano intatta la loro funzione legislativa, potendo “correggere, modificare o integrare la disciplina” risultante dall’esito abrogativo.

Ed allora? Con questi Referendum viene diffusa la convinzione (falsa) che tutto migliorerà, a cominciare dal salario, ai licenziamenti “facili”, alla maggiore tutela del lavoro, e così via: il tutto con una tempistica formidabile. All’indomani del pomeriggio del 9 giugno, dove sarà facile calcolare se si è raggiunto il “quorum” del 50+1 %. Un’ultima considerazione: la Premier Meloni ha detto che andrà al suo seggio dove normalmente vota, ma non ritirerà le cinque schede da porre nelle urne. È un suo diritto scegliere questa opzione, perché previsto dalla legge. Questo gesto, in effetti, equivale ad “astensione dal voto”, che, se operato con il non recarsi proprio al seggio elettorale, le avrebbe risparmiato del tempo che, credo, sia molto ristretto per un qualsiasi Capo di Governo. Ed allora, perché ricorrere a questo mezzo? Mi allineo al pensiero di tanti egregi commentatori politici.

La Presidente Meloni ancora una volta è riuscita a “spostare” il dibattito su tante delicate situazioni politiche, a cominciare da quelle internazionali, e portarlo in pasto alla banalità politica dell’opposizione: non v’è, oggi, leader del Centrosinistra che non parli soprattutto della scelta della Meloni di andare al seggio e non votare, invece di altri temi ben più importanti. “O tempora, o mores” diceva Cicerone, quasi ad evocare i suoi tempi della Repubblica, come a me capita quando ricordo i tempi giovanile della nostra Prima Repubblica dove era impossibile “far fesso” un leader politico!

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