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l'intervento

Sulla democrazia e altri ritrovamenti archeologici

Ma da democratico devo anche ripudiare qualsiasi forma di vilipendio ed uso strumentale del voto

Sulla democrazia e altri ritrovamenti archeologici

Io sono un democratico. Mi sento un democratico. E questo lo affermo nonostante i limiti della democrazia, che rivendico essere la migliore forma di governo, certamente imperfetta, ma altrettanto certamente preferibile a qualsiasi forma alternativa. Su questo punto sono pronto a confrontarmi – democraticamente – con chiunque. Da democratico convinto credo nel voto come forma di espressione della volontà dei cittadini. Ma da democratico, devo anche ripudiare qualsiasi forma di vilipendio ed uso strumentale del voto.

Perché il voto è sì la forma più alta di partecipazione e di espressione dei cittadini, ma a patto che vengano rispettate una serie di regole imprescindibili, ormai beni archeologici. Piena e consapevole informazione, dibattito pubblico, chiarezza del quesito, pari accesso ai mezzi di comunicazione. Il voto è in sé sempre costruttivo: indica una direzione. In particolare il voto referendario è uno strumento essenziale, alto, nobile: serve a correggere il divario tra il corpo legislativo e il sentire dei cittadini, soprattutto quanto la classe politica – per le ragioni più diverse – è arretrata rispetto al sentire della cittadinanza. Esempio massimo di un referendum corretto, e quindi onesto, è stato quello tra Monarchia e Repubblica, quello sull'aborto, sul divorzio.

Momenti topici in cui i cittadini si sono espressi per ammodernare e cambiare un quadro ampio, lasciando al legislatore l'obbligo di adeguare le leggi alla volontà popolare. La deriva populista, sempre dietro l'angolo (quasi ogni angolo) in democrazia, ha fatto sì che questo strumento – alto e nobile – venisse defraudato delle sue altezze e della sua potenza. Le cose belle e nobili e forti devono essere depotenziate in misura proporzionale alla diminuzione di autorevolezza e caratura delle classi dirigenti. Sino alla mortificazione di ridurre il referendum a strumento di conta tra i partiti, a strumento di forzatura legislativa, a strumento di visibilità politica.

Perché i comunicati stampa del giorno dopo, sia chiaro, sono già scritti: abbiamo vinto perché rappresentiamo i non votanti, noi siamo quelli del si, noi abbiamo la maggioranza stratosferica di tutti i votanti, abbiamo lottato come Davide contro Golia. Chi non ha già letto e sentito queste rivendicazioni del giorno dopo? Attenzione: se non si dovesse raggiungere il quorum sarebbe una scusa eccellente per non mettere mano a materie su cui – referendum a parte – tutti sappiamo che è necessario mettere mano. Ma a questo, la politica del ciclo breve e dello slogan che dura un giorno, non ci pensa mai. A spese nostre. Contro questa deriva, che mortifica la forma più alta di democrazia a becero chiasso populista, la scelta dovrebbe essere di non andare a votare: di non partecipare allo scempio.

Sì, la mia prima scelta è non andare a votare: non perché non abbia una mia opinione su ciascun quesito, ma perché non accetto questo uso del referendum popolare. Ma so che questo mio atto di ribellione, il non voto, non verrebbe visto per quello che è. Verrebbe visto come "un voto alla Meloni", un voto contro contro qualcun altro, una scelta di comodo. Lo ammetto, è una mia sconfitta. Io, cittadino democratico, non sono libero di esprimere il mio voto, né il mio dissenso nella forma che preferisco. Devo subire l'insulto alla democrazia da parte di una classe dirigente inadeguata. Andando a votare accetto questo uso di uno strumento vilipeso e che rispetto.

Se non vado a votare lo offendo due volte. Ha senso, in questo contesto, che mi esprima su una qualsiasi preferenza su uno qualsiasi dei quesiti? Forse sì, su uno solo, quello sul diritto di cittadinanza. Mi auguro che persone con documenti regolari nel nostro paese da oltre cinque anni, semmai che hanno studiato con i nostri figli, che sono sempre stati regolari ed hanno sempre lavorato, pagato le tasse e sono incensurati, da cittadini, possano farci amare un po' di più la nostra vilipesa democrazia, semmai per il solo fatto che dove gli è toccato in sorte di nascere questo privilegio non c'è.

A ben guardare, molti di loro conoscono l'italiano meglio di molti nostri amministratori pubblici, sono più incensurati e pagano più tasse di molti politici. Sarà per questo che non vogliono farli votare? Quanti "italiani per privilegio di nascita" perderebbero il diritto di voto se dovessero rispettare gli stessi requisiti? Buon referendum a tutti e tutte, sia che andrete a votare sia che scegliate di non farlo.

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