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La riflessione
08 Giugno 2025 - 10:12
Il 2 giugno, Festa della Repubblica, Sabino Cassese, in un editoriale sul “Corriere della Sera” non poteva esaltare nel modo migliore i molteplici valori di quella giornata con un titolo molto appropriato: “Tre volte festa”. Cioè, per la scelta repubblicana, la riscoperta della democrazia e l‘avvio del percorso costituente, insomma un trittico eccezionale: Repubblica, Democrazia e Costituzione. Una riflessione utile, a chi lo avesse dimenticato, per ricordare fatica, sacrifici e tanto altro ancora dietro le conquiste appena evocate.
Un’analisi così accorata e istruttiva da farci venire in mente una pagina del libro “Cuore”, in cui il padre di Enrico Bottini raccomanda al figlio l’amore per la patria in occasione della festa nazionale del giugno 1884. Lunedì scorso: giornata splendida, tribune piene di gioviale atmosfera, affollate da un pubblico di ogni età. Una lunga, interminabile parata di Armi e Corpi dell’Esercito, preceduta dalle rispettive bande musicali: è stato tutto davvero “tre volte festa”. La parata, seppur di prevalenti presenze militari, non è mai apparsa qualcosa di marziale, da ostentata potenza, ma di tutt’altro segno, comunque di un Paese pacifico, normale.
Amante della pace e, ciò che più conta, saldo nei suoi apparati civili e militari, sfrondato di ogni logora retorica. Un giudizio confermato, qualche giorno dopo, dalla celebrazione dei 211 anni della fondazione dell’Arma, presidio permanente e rassicurante, la cui attualità è stata rilanciata dal Comandante generale con parole semplici e sincere: «I nostri militari, tutti, non cercano clamore ma incarnano nell’ordinamento del loro servizio valori straordinari: il dovere, la dedizione, il senso di giustizia».
Di fronte a uno scenario del genere, a una leale, gigantesca rete operativa al servizio del Paese, della comunità, non si può non pensare con raccapriccio al cinismo ormai cronico di una sinistra disfattista, la quale con automatismi pregiudiziali evoca allarmi, pericoli inesistenti, addirittura una democrazia a rischio. Un comportamento che si va sempre più configurando come una campagna di discredito generalizzata da “Dio salverà i suoi”. Neanche ai tempi della guerra fredda, dei blocchi contrapposti, si ebbe questo clima avvelenato, che oggi la scomparsa dei partiti e il morbo di leadership provvisorie e personalistiche hanno reso più subdolo e infido.
Siamo arrivati al paradosso che a lamentarsi del crescente astensionismo elettorale sono coloro che lo hanno favorito, disprezzando la politica. Giustificabile se sono alla guida del Paese, spregevole se sono all’opposizione. In ragione di quanto appena detto, verificabile in ogni circostanza, è da condividere e apprezzare la recente clamorosa denuncia di Antonio Padellaro, giornalista autorevole e militante libero della sinistra, che pone sotto accusa l’ammucchiata progressista. Il cui orizzonte politico si limita a un “karaoke” quotidiano di antifascismo di maniera, carico di stonate banalità che provano a coprire oggettivi e crescenti limiti. Indipendentemente da questa iniziativa, già molto forte in sé, esposta nel saggio “Antifascisti Immaginari”, con prefazione di Marco Travaglio, Padellaro oltre al merito di aver “sminato” un argomento insidioso solo ad accennarlo, rilancia un discorso già avviato tempo fa da Giampaolo Pansa: «Essere revisionisti significa battersi contro il virus che uccide la verità. Perché non c’è verità, quando una vicenda politica non viene raccontata per intero.
Il risultato è una storia mutilata, uno spettacolo dell’orrore. In una società democratica, nata dalla vittoria contro una dittatura, imbavagliare chi ha perso significa contraddire un principio che tutti dovremmo aver caro: la superiorità del sistema liberale rispetto a qualunque regime». Aver solo ripristinato questo linguaggio e indicato certi auspicabili orizzonti, è già motivo per dire con convinzione: “Padellaro senatore a vita!”.
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