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03 Agosto 2025 - 11:00
La premier Giorgia Meloni
Qualche settimana fa una nota informativa, ispirata da ambienti molto vicini a Forza Italia, ha annunciato che il partito si prepara a un rilancio a partire dal ruolo importante dei territori, con un maggior coinvolgimento nelle decisioni più rilevanti. Che si tradurrà, molto presto, nella elezione dei coordinatori in precedenza cooptati, ma, soprattutto, in un concreto esercizio partecipativo della democrazia. Una scelta di particolare sensibilità a fronte dell’ossessivo e crescente “neocentralismo” anche di nuove formazioni, che si dicono vicine al popolo ma nei fatti ne sono lontane. Mentre avviene tutto questo le opposizioni, dal Pd ai vari cespugli, sono in pieno marasma per l’incapacità di riconoscersi in un programma comune, per le troppe incompatibilità inconciliabili e per l’indisponibilità a smussare certi tratti identitari.
Che il campo largo fosse un miraggio si sa da sempre, ma che si potesse pensare di nasconderlo, attraverso una campagna permanente di discredito della premier, la cui popolarità internazionale è sempre più solida, mostra i limiti recidivi di una sinistra irrecuperabile. Giunta, in questi giorni, addirittura ad additare la premier come colpevole nel non essere riuscita a convincere Trump ad abbassare i dazi. È solo l’ultima carognata di una politica che mistifica la verità. A dirla tutta su tale marasma, giorni addietro ha provveduto a farlo una delle figure più prestigiose del giornalismo nella sua rubrica sul Corriere della Sera: “Risponde Aldo Cazzullo”. Il quale ha spiegato le ragioni di un’alternativa sempre più improbabile, partendo da lontano. Eccone la sintesi.
I Cinque stelle nascono contro il Pd. Grillo aveva nel mirino dichiaratamente più Bersani che Berlusconi. È vero che Cinque Stelle e Pd hanno governato insieme ma difficilmente sapranno presentarsi insieme. Il Pd si è sempre espresso contro il reddito di cittadinanza, anche in politica estera hanno problemi divergenti sulla guerra russo-ucraina. Addirittura su Trump la sensibilità di Conte è ben diversa da quella della Schlein (cui andrebbe ricordato che il Trump di oggi è quello di ieri che caldeggiò la nomina al Colle dell’ex “avvocato del popolo” come presidente del Consiglio del governo del ribaltone Pd-Movimento Cinque Stelle, con un messaggio, in cui destò ilarità averlo chiamato “l’amico Giuseppi”.
Oggi il dato che dovrebbe preoccupare tanti democratici è che il Pd ormai è succubo dei Cinque stelle che hanno discreditato leistituzioni nelle campagne elettorali e anche dopo con batterie corali di “vaffa” per sedersi in seguito a quei tavoli della spartizione. Vista un tempo come un male assoluto, è divenuta ben altro dopo qualcosa d’inebriante. Il populismo con Conte mira solo al potere, lo hanno dimostrato le ultime legislature. Ma sentire in questi giorni l’esponente del Pd Matteo Ricci, candidato alla regione Marche ma incappato in una disavventura giudiziaria, su cui c’è molto ancora da chiarire, pregare, quasi implorare il Movimento Cinque Stelle a capirlo, insomma a dargli un attestato di “presentabilità” per poter concorrere alle consultazioni regionali, è l’offesa più umiliante che potesse subire il Partito Democratico di alte tradizioni civili, culturali e politiche di radici cattoliche, laiche e socialiste.
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