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La riflessione
08 Agosto 2025 - 11:12
I ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi
Nuovo capitolo della vicenda al-Masri, il militare libico accusato di torture e crimini contro l’umanità, arrestato, su mandato della Corte penale internazionale, poi espulso e riaccompagnato in Patria con volo di stato italiano. Il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, esce dal caso in quanto il Tribunale dei ministri ha deciso di archiviarne la posizione. Mentre nei confronti dei ministri dell’Interno e della Giustizia, Matteo Piantedosi e Carlo Nordio, e del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, si ritiene praticabile una ragionevole previsione di condanna per i reati di peculato e favoreggiamento e viene avanzata richiesta di rinvio a giudizio e di autorizzazione a procedere. Il caso tiene banco da mesi, sollevando un vespaio di polemiche.
Ad ogni modo, se al governo, allorquando al-Masri è stato arrestato dalla Digos in esecuzione del mandato di arresto della Corte dell’Aia, fosse stata al governo una coalizione di sinistra a 5 stelle, è plausibile ipotizzare che la vicenda avrebbe avuto un’evoluzione del tutto diversa. A tale conclusione è possibile pervenire considerato l’eloquente contenuto dell’intervista di recente rilasciata al quotidiano la Repubblica dal dottor Raffaele Piccirillo, sostituto procuratore generale presso la Corte di Cassazione ed erudito giurista, che ha anticipato gli esiti dell’istruttoria del Tribunale dei ministri.
Piccirillo, già capo di gabinetto al ministero della Giustizia allorquando occupava il dicastero l’eminente avvocato grillino Bonafede, al secolo Fefè o Dj come voce dal sen fuggita, nel corso dell’intervista ha mirabilmente illustrato i meccanismi applicativi della normativa che regola l’esecuzione dei mandati di arresto della Corte penale internazionale. Concludendo, che non vi fosse alcuna ragione giuridica per non convalidare l’arresto di al-Masri, e per non consegnare il militare libico alla Corte penale internazionale.
Il parere dell’ex capo di gabinetto del ministero a 5 stelle, oltre che promanare dal fonte giuridicamente autorevole, doveva prevedibilmente riconoscersi politicamente significativo in quanto, per farla breve, espressione di una visione politica antagonista e di pensiero giuridico alternativo rispetto a quello che ha ispirato le scelte dell’attuale maggioranza di governo. Le affermazioni di Piccirillo rendono plausibile, quindi, ipotizzare che, nel caso in cui al governo, all’atto dell’arresto del presunto torturatore libico, vi fosse stata una coalizione a 5 stelle, al-Masri giammai sarebbe stato espulso e rimpatriato in Libia, ma sarebbe stato consegnato, con indefessa solerzia, agli organi della Corte penale internazionale in esecuzione del mandato di arresto emesso da quest’organo di giustizia sovranazionale.
Al di là di ogni contingente e fisiologica contrapposizione strumentalmente polemica tra contrapposti schieramenti o aree politiche di maggioranza e opposizione, all’autorevole toga di certo non sfugge che il caso sottende una questione di non poco conto, vertendo sul massimo problema intorno a cui ha ruotato la contemporanea speculazione politica occidentale. In tali controverse vicende, la decisione di governo si misura con l’innegabile difficoltà di conciliare la teoria giuridica dello stato con la comprensione scientifica della politica. E tale aspetto, nel commento dell’eminente magistrato, viene disinvoltamente tralasciato. In tali casi – è questo il quesito di fondo colui che è chiamato ad assumere la decisione sovrana, è tenuto a riconoscere il primato della nuda norma o della sicurezza interna ed esterna dello stato.
Lo Stato moderno ha due anime, essendo una manifestazione della politicità e, contemporaneamente, un ordinamento giuridico che, attualmente, si articola anche sul piano sovranazionale. Ed è vero che gli Stati che hanno aderito al trattato istitutivo della Corte penale internazionale hanno ceduto parte della propria sovranità giurisdizionale a quest’organo sovranazionale cui è stata riconosciuta, con il trattato di Roma, competenza funzionale a trattare genocidio, crimini di guerra e contro l’umanità. Ciononostante, le decisioni adottate, nel caso al-Masri, dal governo e dai magistrati della Corte di appello di Roma, trovano pieno fondamento nell’ordinamento dello stato in quanto dettate da quella condizione nota come stato di eccezione.
Quello dello stato di eccezione è un concetto noto e universalmente riconosciuto dalla dottrina dello stato. Si tratta di concetto limite, ma nient’affatto confuso, di cui è agevole richiamare esempi, anche della storia recente, che legittimano la compatibilità con l’ordinamento e la teoria giuridica dello stato di decisioni assunte su accadimenti del tutto imprevedibili nella produzione normativa del legislatore . Solo per citarne alcuni, basti ricordare l’arresto di Mussolini, disposto il 25 luglio 1943 dal Re, in assenza delle competenze funzionali e dei presupposti , la sospensione della sentenza con la quale il tribunale militare mandò prosciolto Priebke per intervenuta prescrizione disposta dal ministro della giustizia Flick, le limitazioni alle libertà personali disposte, a mezzo Dpmc decreti della presidenza del Consiglio dei ministri, durante la pandemia da Covid 19.
La decisione adottata sul caso al-Masri costituisce un atto di stato anomalo, e se vogliamo ripugnante, avendo determinato l’espulsione di un comandante libico accusato dei peggiori delitti commessi nella sua patria. È errato ritenere, però, come si pretende fare sulla base di una visione normativistica di matrice assolutizzante, che tale difficile decisione possa apprezzarsi illegittima, delittuosa o criminale. Nel caso di specie giammai i decisori hanno agito allo scopo di consentire al militare libico di eludere le conseguenze delle proprie condotte. Ricorreva, infatti, una oggettiva condizione di necessità qualificabile, sul piano della teoria generale dello stato, come stato di eccezione, risultando concretamente esposte a pericolo la sicurezza interna ed esterna di cittadini ed imprese nazionali operanti nella regione libica. Il governo ha agito pertanto in una condizione nella quale alla nuda norma non poteva essere riconosciuto un formalistico primato, e le prerogative sovrane dello stato repubblicano dovevano ritrovare massima espansione.
Nessuno può negare che la Libia, infatti, non è, dallo spodestamento di Gheddafi, uno stato normale. Forse non è più nemmeno uno stato. Non è di certo uno stato di diritto. La Libia è uno stato anomico, ove non esiste un unico governo, sono molte le tribù e le fazioni che si contendono, con ogni mezzo, il controllo militare del territorio e delle risorse. La legge in Libia non esiste, non ha efficacia. Nessuno può disconoscere che, allorquando in un caso del genere, alla normativa fosse stata data formalisticamente esecuzione, cittadini, imprese ed interessi italiani sarebbero risultati esposti un ampio fronte di aperta belligeranza. Tornando sul terreno del teatrino della politica, e dunque difficile affermare se la spinosa trama della vicenda al-Masri si presta ad essere meglio classificata al genere commedia o tragedia. Di certo, siamo ancora lontani dall’epilogo e, quindi, dalle comiche finali.
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