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La riflessione

Fico scopiazza De Luca alla “Sagra della capra”

L’inconsistenza del Pd apre una prateria al governatore non rassegnato alla rottamazione

Pd lavora a coalizione ampia tra l'incognita De Luca e l'ipotesi Fico

Vincenzo De Luca e Roberto Fico

Nonostante la buona volontà a non farci trascinare dai farseschi risvolti quotidiani nella infinita baruffa tra il Pd e il governatore De Luca, archiviato a parole, ma sempre in campo a calciare punizioni, è impossibile riuscirvi. Il “campo largo” è ormai un’arena permanente di grossolane amenità, di imperdonabili amnesie e ipocrisie. Stavolta a segnalarsi è addirittura Fico. Appena uscito dal guscio del riserbo istituzionale di ex presidente della Camera per assumere da candidato della presidenza della Regione un profilo più colloquiale, ed è subito protagonista di un clamoroso autogol.

Da anni i Cinque Stelle e il loro corifeo campano dei “vaffa” hanno rotto i  timpani e messo in croce il governatore De Luca perché tagliava nastri, partecipava a battesimi, prime comunioni e cresime, ma soprattutto inaugurava sagre per rastrellare voti, e Fico che fa? Emula De Luca. Il viaggio elettorale della sua rivoluzione populista ha scelto come prima tappa la “Sagra della capra” di Cannalonga. Roba da triplice e proverbiale rampogna sgarbiana. Peggio ancora è lo stendardo promozionale sul suo viaggio elettorale per il “riscatto delle aree interne”, rilanciato pochi giorni fa dal Forum del vescovi delle aree interne con una lettera energica al Governo e al Parlamento di 139 tra cardinali, arcivescovi, vescovi e abati. Una coincidenza che i Cinque Stelle avrebbero rinfacciato ad altri come un belante inchino clericale, ma per loro oggi solo una normale casualità.

Fico ha perso una grande occasione che il Cilento gli offriva per dare un alto significato alla sua sfida, grave per un neolaureato in filosofia come lui. Invece della “Sagra della capra” di Cannalongae della parata dei soliti “attovagliati” da millenni ad attenderlo, meglio avrebbe fatto a fermarsi a Elea, sulla rocca dove nel VIsecolo la scuola eleatica costruì la dottrina dell’essere uno, infinito, assoluto, inimitabile che farà trionfare l’energia del pensiero.

Un pensiero utile e prezioso anche per le piccolezze della vita per fronteggiare le pretese crescenti di un campo largo che sta per diventare un “campo lardo”. C’è Renzi che due anni fa ha scritto un saggio dal titolo “Palla al centro” per rinfacciare alla Schleinche il Pd, “Partito Democratico Arrivato grillino”: oggi in questo partito c’è anche lui a fare il giullare di Conte, notaio sulla presentabilità dei candidati. C’è Mastella che non ha tempo da perdere e mette subito le carte in tavola, i suoi 200mila voti e passa, da prendere o lasciare. In tutto questo c’è però da mettere in conto la rivalsa tutt’altro che accantonata di De Luca, che attraverso la poltronissima regionale del figlio Piero, farà la scalata a un Pd che oggi a Napoli non vale un fico secco.

A dirlo, già otto mesi fa, con una lungimiranza straordinaria da non sbagliare nulla, è stato Enzo d’Errico, direttore del Corriere del Mezzogiorno, nella rubrica “Lo dico al Corriere” di sabato 8 febbraio: “In due anni di commissariamento nazionale nulla è quasi cambiato. Anzi ormai la questione morale è sotto gli occhi di tutti con inchieste e arresti che si susseguono incessantemente. Appare evidente che il partito di Elly Schlein fatichi terribilmente a trasfondere sangue nuovo nella carne marcia di apparati dediti esclusivamente alla propria sopravvivenza.

Ricordate un nome, uno solo, che sia stato allevato e messo in campo dai nuovi gruppi dirigenti nazionali come emblema della svolta? Imprigionato dentro le meschine battaglie tra gruppi e gruppuscoli interni, il Pd napoletano ‘un monumento alla irrilevanza culturale e politica’, da mesi non riesce a esprimere un nome decente per l’assessorato che gli compete nella giunta Manfredi”.

L’inconsistenza del Pd apre una prateria al governatore non rassegnato alla rottamazione, che non perde occasione di dimostrare il fumo e il poco arrosto della “Nouvelle cafoneria democratica”, da rendergli possibile una sopravvivenza politica, ancora pungente, non sappiamo se determinante.

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