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l'analisi
13 Ottobre 2025 - 09:00
Le ultime due tornate elettorali, nelle Marche ed in Calabria hanno condotto alla vittoria le coalizioni espressione della destra di governo. E questo è certamente di per sé un dato di rilievo, in considerazione del fatto che, notoriamente, dopo un triennio di gestione del potere, generalmente le forze che sostengono gli esecutivi tendono a segnare i passo ed a subire gli effetti dell’impopolarità che nelle democrazie s’accompagna alle scelte necessariamente dolorose di chi regge le sorti di un Paese. Ma il dato assai più significativo – e davvero incisivo per un sistema che ha la sua base di legittimazione nel consenso e non in altro – è l’attestazione d’un nuovo calo nella partecipazione al voto degli elettori. Nelle Marche s’è a malapena raggiunto a stento il 50 % dei votanti; in Calabria ci si è fermati intorno ad un ancor più scoraggiante 44%.
Una trentina d’anni fa, la partecipazione degli elettori registrava percentuali che s’aggiravano tra l’80 ed il 90 % degli aventi diritto, praticamente il doppio di oggi. Si tratta di un’involuzione, d’una regressione che ricorda la situazione italiana, quando l’elettorato attivo era fondato su base censitaria ed era solo maschile, anche se il contesto era, in quegli ottocenteschi tempi, del tutto diverso. Diverse sì le ragioni della limitata partecipazione, ma non le conseguenze di questo distacco tra il paese reale e quello legale. In quell’epoca, come oggi, la gran parte della popolazione si «sente soggetta allo Stato e costretta a servirlo con il sangue e con i denari; ma non si sente di costituirne una parte viva ed organica e non prende interesse alcuno alla sua esistenza ed al suo svolgimento.
Considera tutti i nostri ordinamenti con sospetto e con diffidenza, ed uno spirito di malcontento e di scoramento pervade il paese […]. Se la forma di governo mutasse a un tratto, se per un colpo di mano o per una crisi qualunque […] al regime libero attuale si sostituisse o il dispotismo più cieco o l’anarchia più scapigliata, la grande massa della popolazione resterebbe indifferente all’annunzio come di cosa che non la tocchi». Sono parole tratte da un discorso pronunciato nel 1881 da Sidney Sonnino, tra i politici più acuti che ebbe l’Italia risorgimentale, quando egli propugnava l’allargamento del sistema elettorale, al fine di coinvolgere le masse nella formazione dello stato italiano allora, come oggi, alquanto precario.
Ma sono parole che scolpiscono la situazione attuale dove, pur ormai da tempo (1946) stabilitosi il suffragio universale maschile e femminile, si sta progressivamente verificando un disinteresse della comunità per le vicende dei suoi apparati che lo fa regredire verso percentuali di partecipazione da Stato elitario, senza esserlo. Al voto si recano sempre più, soltanto strette cerchie di mobilitati dal mondo della politica e dei suoi più diretti adepti, rimanendo indifferente la massa degli elettori, anche di quelli che dovrebbero rappresentare il proprio scontento attraverso il voto. Ed il segnale proveniente dalle regionali è particolarmente indicativo, in quanto in queste elezioni la mobilitazione dei candidati è generalmente massima, prevalendo il voto individuale su quello di lista.
La realtà dello scollamento è una realtà che proviene dallo scetticismo sempre più diffuso nell’elettorato per la sua rappresentanza; uno scettiscismo che riguarda il senso stesso della rappresentanza. Azzardo a dire che lo stesso populismo non è più in grado di coinvolgere e trascinare, perché nemmeno esso – che ha gran causa nel processo storico in atto – ha più alcuna forza di trascinamento, ha deluso anch’esso. È possibile che i sistemi democratici siano entrati in una fase irreversibile di crisi, ma finché non si troverà altro, bisognerebbe provarsi a manutenerli al meglio. Se un sistema democratico non riesce a suscitare interesse nella sua base di legittimazione, evidentemente s’isterilisce progressivamente, nel senso che le sue dirigenze perdono quell’indispensabile linfa motivante che deriva dallo scambio con la sua base, dalla quale sola può raccogliere le ragioni della propria azione e gli indirizzi, opportunamente elaborati, per le proprie scelte. Ma c’è anche di peggio, perché questo riguarda la Comunità, che se non funziona porta giù tutto.
Quanto meno un popolo si riconosce nelle sue istituzioni, quanto meno si sente responsabile della vita del paese in cui vive, quanto più si dissolvono le sue motivanti basi identitarie, tanto più ciascuno si percepisce semplicemente individuo, con i propri interessi ed i propri egoismi da perseguire. L’istinto appropriativo fa antropologicamente parte dell’uomo, delle sue originarie pulsioni di cacciatore e raccoglitore di scorte e dunque è pronto a risorgere ad ogni angolo di strada, di qui vengono furti, rapine ed ogni altra non auspicabile umana realizzazione. Il processo di civilizzazione è passato attraverso la progressiva cessione di parti dei propri egoismi, in favore dell’interesse collettivo, avvertito come condizione di sviluppo del singolo nel gruppo al quale appartiene.
Quando l’appartenenza alla collettività lentamente deperisce e subentra il disinteresse per tutto quanto accomuna; quando insomma alla vigilanza sull’andamento delle istituzioni subentra la tabe dello scetticismo e della diffidenza per tutto ciò che ruota intorno alla politica, è evidente che il paese reale si allontana dalle condizioni alle quali può continuare a prosperare o quanto meno a svolgere le sue funzioni collettive.
La classe politica sembra indifferente a questo progressivo scollamento, probabilmente perché confida nella tenuta delle istituzioni formali, quelle che bene o male ancora sono in piedi grazie al voto della minoranza. Ma è una confidenza mal riposta, perché al voto di pochi non può affidarsi la tenuta della società: la società richiede tensione collettiva, (relativa) abnegazione in vantaggio del bene comune, senso di responsabilità per l’interesse generale. Tutto quanto il trend elettorale mostra non esserci più, soppiantato com’èdall’attenzione rivolta al proprio personale bisogno, agli egoismi, al difendersi dagli altri.
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