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l'opinione
16 Ottobre 2025 - 10:45
Non vogliamo più credere perché, in fondo, abbiamo paura di affrontare la verità. Meglio gli imbonitori che i politici. I primi infatti “te la raccontano”, i secondi “te la spiegano”. Al ricordo delle piazze gremite di militanti di partito quando i veri leader parlavano di problemi e strategie, coinvolgevano su futuro e prospettive, chiedevano sacrificio e impegno, a me sale un po’ di nostalgia. La politica è veramente cambiata o non esiste più. Ciò che distingue chi fa politica da chi fa confusione è saper far prevalere l’interesse generale sull’interesse di bottega.
Oggi si prende una bandiera e si partecipa a un corteo per manifestare, spesso poco informati, contro qualcuno o qualcosa. L’ascolto, la riflessione e il confronto non fanno più parte del nostro vivere quotidiano. I talk- show sono più spettacolo che approfondimento. La parola è rumore e il pensiero non viene scomodato. I politici hanno perso autorevolezza perché gli “eletti”non esistono più. I componenti delle Camere sono il prodotto di un meccanismo di cooptazione, che seleziona in base a fedeltà e obbedienza. Capisco, in questo clima, sia difficile stimolare a “fare politica” una certa parte della società e soprattutto i giovani che si confrontano con la dimensione sovranazionale dinamica e competitiva. Forse anche per questo è cresciuto il fenomeno del familismo elettorale. I “figli di” si candidano, gli altri fuggono. Preferiscono tenere allenati i neuroni. Un tempo, alla ripresa dei lavori parlamentari, i partiti si ritiravano nelle cd “feste nazionali” per riprendere il dialogo con la base e mettere a punto, in una dimensione di partecipazione, strategie ed azioni. La linea di partito per discutere la finanziaria veniva condivisa e poi portata ai tavoli istituzionali. Il tutto senza clamore. Maggioranza e opposizione si confrontavano poi nelle aule usando gli strumenti della democrazia parlamentare.
Certo si consumavano incontri ristretti per affinare le compatibilità, senza però snaturare le differenze. Tutto chiaramente escludendo emergenze climatiche o naturali, politica internazionale e di difesa, per le quali il protocollo metteva al primo posto l’interesse del paese. L’abitudine ad avere come pubblico naviganti e socialisti e non più militanti pensanti e impegnati ha portato a ridurre le comunicazioni a slogan e a derubricare la verità da valore universale. Poco importa che al voto partecipi una minoranza sparuta di cittadini. Quel che conta è sopravvivere a se stessi. Prova ne è che l’astensionismo viene citato lateralmente. Viene prima la celebrazione del vincitore tra i contendenti o l’esaltazione per i decimali in più che qualche piccolo partito ha guadagnato e poco o niente si dice sulla minore rappresentatività delle istituzioni.
Le ultime regionali hanno attestato in costante calo il dato dell’affluenza, che legittima a scrivere che siamo in emergenza democratica. Che il popolo abbia perso la propria sovranità non è un dato d’apparato ma è alla base del disagio sociale diffuso. Se la politica non riacquista autorevolezza difficile sarà il recupero di una salubre convivenza civile. Vorrei tanto che la Campania fosse laboratorio di democrazia più che di campi larghi e simili.”
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