Speciale elezioni
l'analisi
01 Novembre 2025 - 10:04
“Mani libere”, questo il commento di Elly Schlein alla riforma dell’ordinamento della giustizia approvata in Senato. Due parole che esprimono il profondo malessere della politica e il disagio della segretaria nazionale del Pd. Che si tratti di scelta “armocromica” o di riforma della Costituzione, la linea è sempre quella degli insopportabili slogan ad effetto privi di significato. I democratici possono essere diventati, negli anni, contrari alla separazione delle carriere, ma questo non legittima il sabotaggio del confronto chiaro e leale con i cittadini oltre che con le forze di Governo su un tema che incide sulla vita democratica del paese. La politica deve sempre saper conservare il proprio ruolo guida, che sia maggioranza o opposizione, facilitando la consapevole partecipazione del popolo alla vita delle istituzioni. Fare propaganda spicciola non è un modo per aprire i palazzi e per rendere trasparenti i processi.
Quello che si è raggiunto è un risultato che può dirsi storico, dopo circa 40 anni di discussioni e tentativi, ed è, come ha ricordato in questi giorni, il Presidente Emerito, Sabino Cassese, un atto dovuto. Il nuovo codice del processo penale del 1988 ha introdotto in Italia il modello accusatorio, senza modificare coerentemente la struttura ordinamentale e costituzionale, il che ha determinato la sopravvivenza di elementi inquisitori nel ruolo del giudice e la compromissione del principio della parità delle parti e della terzietà del giudice. Con la legge Nordio si realizza il presupposto per la piena applicazione del principio del giusto processo di cui all’art. 111 della Costituzione. Quindi niente più sistema misto, accusatori/inquisitorio, e certezza delle garanzie costituzionali a presidio del diritto di difesa. Tale traguardo dovrebbe essere auspicato da tutti, ancor di più da chi si racconta vicino ai cittadini più fragili che subiscono le inefficienze del sistema.
Insorgere contro le presunte mani libere, implica che si plauda alle mani della politica legate dalla magistratura. Un modo neanche troppo velato per dire che, a dispetto della Costituzione, la divisione dei poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario) ha una valenza parziale. La realtà è che finalmente si è messo un punto nel lungo cammino per la riforma degli articoli 87, 102, 104 e 105 della Costituzione per prevedere una separazione tra le carriere dei magistrati giudicanti e requirenti. La disciplina attuativa è affidata a successivi strumenti regolatori. L’approvazione in seconda lettura da parte del Senato chiude un discorso mai completato che potremmo dire abbia avuto inizio con la prima proposta di separazione delle carriera tra giudici e pubblico ministero presentata dalla bicamerale per le riforme presieduta da Massimo D’Alema negli anni 1997/1998.
Quel primo testo naufragó nelle acque agitate della politica di quegli anni. Ci fu un tentativo di mediazione, con la Legge Castelli (105/2005), che, senza toccare la costituzione, introduceva percorsi di carriera separati, attraverso meccanismi di selezione all’ingresso, di progressione di carriera e di verifiche di professionalità. Le altre iniziative non hanno raggiunto traguardi da menzionare, ad eccezione della Riforma Cartabia, che pure è intervenuta sulla questione, seppur in maniera poco decisa, ma servono a testimoniare che il tema non ha mai abbandonato le aule parlamentari.
La riforma è sicuramente un passo avanti verso una giustizia più giusta. Ne sono convinti gli avvocati, molti accademici, gran parte dei costituzionalisti, una pattuglia di magistrati e anche esponenti della sinistra, come Boato o Salvi, per citare due voci che si sono fatte sentire negli anni e negli ultimi giorni, cercando di ricordare agli alleati che su questi temi non si fa populismo.
La cosa onesta e seria da fare è ora attrezzarsi per informare in maniera non faziosa i cittadini che dovranno esprimersi sul referendum confermativo. La politica vera ha il dovere di parlare non di imbonire. Non si “scende” in piazza con le bandiere per simili temi, si “va”, invece, nelle agorà pubbliche ad affrontare confronti con chi la pensa diversamente perchè la comunicazione non sia faziosa e il messaggio possa arrivare pulito.
Copyright @ - Nuovo Giornale Roma Società Cooperativa - Corso Garibaldi, 32 - Napoli - 80142 - Partita Iva 07406411210 - La società percepisce i contributi di cui al decreto legislativo 15 maggio 2017, n. 70. Indicazione resa ai sensi della lettera f) del comma 2 dell’articolo 5 del medesimo decreto legislativo - Il giornale aderisce alla FILE (Federazione Italiana Liberi Editori) e all'IAP (Istituto di autodisciplina pubblicitaria) Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questo giornale può essere riprodotta con alcun mezzo e/o diffusa in alcun modo e a qualsiasi titolo