Cerca

l'analisi

Tra legge e coscienza vince ancora l’interesse

Sarebbe auspicabile altra tipologia d’esempio, quella del disinteresse, della cura per il pubblico erario, dell’attenzione all’interesse generale

Tra legge e coscienza vince ancora l’interesse

È di venerdì scorso la tragicommedia inscenata dalla ineffabile iniziativa di Renato Brunetta, presidente del Cnel – il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, che dovrebbe costituire una sorta di camera di corporazioni con al suo centro sensibilità spiccate per la vita economico-sociale del Paese – il quale ha pensato bene di far approvare una deliberazione all’Ente per incrementare il proprio trattamento retributivo da 240.000 € annui a 310.000. La vicenda, al di là delle tristi considerazioni che può suscitare in ciascuno, è emblematica d’un grave scadimento nella sensibilità e nella qualità delle élites, vale a dire di quella parte della società che, per essere più dotata di mezzi culturali, di potere e di sostanze, dovrebbe antivedere e soprattutto fare da guida al resto della collettività. La storia non coinvolge soltanto il Brunetta, ma è proprio una non elegante storia di dirigenze pubbliche incapaci di tenere da parte pur legittimi egoismi, in ragione delle più alte responsabilità di cui sono portatrici e dei notevoli privilegi che esse già da sole conferiscono a chi si trova a rivestire certi incarichi.

Una norma del 2014, l’articolo 13 decreto legge 64, in ragione delle difficoltà in cui versava – e peraltro versa – la finanza pubblica, aveva fissato nel ragguardevole tetto di € 240.000 annui il massimo retributivo per chi riceve stipendi dallo stato. Inutile dire, che questo limite era di fatto già stato eluso dai più callidi grand commis che, assicurandosi altre tipologie d’incarichi riuscivano comunque a raggranellare ulteriori compensi, in modo da rimpinguare il loro gramo trattamento retributivo. Sennonché, un altro rappresentante delle élites, un presidente di sezione del Consiglio di stato, ha ritenuto che proprio non fosse possibile accettare un simile torto, una decurtazione del proprio trattamento retributivo che facesse a lui perdere gettoni di presenza nell’organo di autogoverno della giustizia Amministrativa. Ed ha quindi fatto ricorso innanzi alla giustizia amministrativa medesima la quale, in primo grado, gli ha però riservato una sorpresa poco gradita, dandogli torto. Non persosid’animo, l’alto magistrato ha ritenuto di ricorrere innanzi al Consiglio di stato, quello stesso di cui egli è presidente di sezione ed anche di più, lamentando il torto subito, questa volta non più solo dalla legge, ma dalla legge e dal giudice di primo grado.

Più sensibile alle ragioni del presidente, il Consiglio di stato ha reputato che una simile ingiustizia fosse sospetta d’infliggere un vulnus a niente di meno che alla carta costituzionale, sicché ha rinviato la questione dinanzi al giudice che di queste cose se ne intende, alla Corte costituzionale appunto. La quale ultima – che peraltro non si può escludere direttamente coinvolta dal limite stipendiale – ha condiviso le doglianze – come usa dire dalle parti dei giuristi – del presidente di sezione del Consiglio di stato, vulnerato a sua volta nel proprio patrimonio, ed ha ritenuto che effettivamente da troppo tempo quel rigido limite al trattamento retributivo dei giudici fosse in grado addirittura di ledere l’autonomia e l’indipendenza della magistratura, con conseguenti danni per le garanzie di libertà e legalità dei cittadini, ed ha pertanto dichiarato l’incostituzionalità dell’invisa disposizione: estendendo poi la portata della medesima dichiarazione d’incostituzionalità, in vantaggio d’ogni categoria dirigenziale dello Stato.

La cosa non è sfuggita all’occhio accorto del Brunetta, il quale ha creduto di potere rivendicare anche in suo favore, in suo ed in favore e di altri maggiorenti del Cnel, il garantistico verdetto della Corte costituzionale ed ha dunque provveduto ad innalzare il proprio trattamento retributivo fino al massimo consentito, che supera non di misura in euro i 300.000. La cosa ha dato nell’occhio e le opposizioni parlamentari, dapprima, poi anche la premier in persona hanno ritenuto inaccettabile un simile comportamento, vedendo resistere il Brunetta, che obiettava la piena liceità del suo atto; di poi, compreso che le cose volgevano al brutto e che l’usbergo della legge non lo poneva al riparo dei fulmini minacciosi che sulla sua testa piovevano, ha dichiarato che per ‘senso di responsabilità’ ritirava la decisione. Senso di responsabilità, appunto. Questa vicenda, tutta, dal suo avvio al suo termine, chiama in causa proprio quella che dovrebbe essere una virtù-condizione per ricoprire cariche pubbliche.

Chi è ai vertici dello Stato dovrebbe esser d’esempio, dovrebbe dimostrare spirito di sacrificio, dovrebbe avvertire come propria la condizione di chi è soggetto alle sue decisioni e si trova in condizioni assai diverse dalle proprie. La moralità pubblica è anche in questo modo che si declina. In queste ore si sta discutendo una legge di stabilità dalla coperta assai corta, anzi cortissima; si stanno facendo salti mortali per riconoscere anche poche decine d’euro d’aumento ai dipendenti pubblici, che hanno visto nell’ultimo decennio ridursi il valore d’acquisto delle loro magre paghe anche del 30%. È stato indetto – forse per motivi politici, ma certo su d’una base di oggettivo malessere – uno sciopero generale proprio in questi giorni per contestare presunte inadeguatezze dell’impianto di spesa prevista nel documento governativo; la percentuale d’italiani che sono sotto la soglia di povertà s’aggira intorno al 10 per cento poco meno di 6 milioni di persone.

È chiaro che lo stipendio di Brunetta o quello del ricorrente innanzi alla Corte costituzionale non cambieranno le cose – diverso il discorso quando saranno in tanti a seguire l’esempio. Ma il problema è che sarebbe auspicabile le élites offrissero altra tipologia d’esempio, quella del disinteresse, della cura per il pubblico erario, dell’attenzione all’interesse generale. E se anche si dispone di un diritto –  o ce lo si può legittimamente costruire – non sempre corrisponde ad etica pubblica il farlo. Ma si sa che, quando si parla d’etica pubblica o di morale privata, ciascuno ha le proprie idee, e soprattutto la propria morale.

Commenta scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Il Roma

Caratteri rimanenti: 400

Logo Federazione Italiana Liberi Editori