Cerca

il punto

Trump: Al-Sharaa dopo Orbàn, prove di nuovo Medio Oriente

Se questo è il disegno, le incognite non mancano

Trump: Al-Sharaa dopo Orbàn, prove di nuovo Medio Oriente

Donald Trump

Oggi nuovo ospite alla Casa Bianca. È appena partito Viktor Orbàn, ed ecco sopraggiungere il presidente siriano Ahmad al-Sharaa, ex terrorista jihadista noto come Abu Mohammad al-Jolani e con dieci milioni di dollari di taglia sulla testa, ma appena rimosso dalla lista dei terroristi. Il premier ungherese è ripartito con il permesso di continuare ad acquistare energia dalla Russia e la conferma che si terrà a Budapest il prossimo summit sull’Ucraina tra Donald Trump e Vladimir Putin. Vertice sollecitato indirettamente l’altro giorno al segretario di Stato Mario Rubio dal ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov. Ahmad al-Sharaa ne segue il percorso.
Divenuto armi in pugno il nuovo ‘uomo forte’ di una Siria meno laica di quella dell’alauita Bashar al Assad (ora rifugiato in Russia), assassino incallito, convertito al pragmatismo dalla Turchia di Recep Tayyip Erdogan, è stato spinto – anche o soprattutto --  dalla necessità di ottenere la fine delle sanzioni e di assicurarsi in America (e quindi nelle capitali arabe moderate ed europee) il sostegno necessario sia a una convivenza pacifica con Tel Aviv, sia alla ricostruzione del suo Paese dopo circa un quindicennio di guerra civile e tiro a segno israeliano. La Banca mondiale ne calcola il costo in 216 miliardi di dollari.
A meno di un anno dal suo ingresso da vincitore a Damasco, Ahmad al-Sharaa compie come capo di Stato la prima visita ufficiale a Washington dall’indipendenza della Siria nel 1946. Missione preceduta dall’incontro con Trump a Riad in maggio e, a settembre, dal suo intervento alle Nazioni Unite. Non solo. Il rapporto con Erdogan - che pare duri dal 2016, spianato dall’Intelligence interessata a controllare i curdi – ha permesso anche che fossero instaurati nuovi rapporti di coesistenza con Mosca. Putin lo ha accolto al Cremlino, gli ha rifiutato la consegna di Assad ma non ha perso tempo nel trasferire in Libia non tutte ma la gran partedelle forze navali presenti nella base di Tartus (era la maggiore dei russi nel Mediterraneo) e delle forze aeree in quella di  Hmeymim. Assad aveva nel 2017 concesso a Mosca, in cambio dell’appoggio militare, l’intera base di Tartus, che il padre Hafez aveva nel 1971 messa solo parzialmente a disposizione dell’ex Urss. E ancora. Il dialogo con Mosca facilita l’impegno di al-Sharaa nelrassicurare la diffidente Pechino, che non dimentica la militanza dell’allora al-Jolani e la presenza in Siria anche di gruppi di combattenti uiguri provenienti dal Turkestan orientale, oggi Xinjiang cinese (un milione, secondo alcune fonti, gli uiguri in carcere di notte e, di giorno, a scavare strade o innalzare ponti: così XiJinping cura la loro febbre d’indipendenza).
Al-Sharaa ha bisogno di Trump e la sua partenza da Damasco è avvenuta mentre le sue milizie e quel che resta dell’aviazione compivano una settantina e più di “raid contro cellule dormienti e basi dell’Isis”. Tocca ai fanatici sunniti ex sodàli, dopo gli alauiti e i drusi macellati in inverno e primavera scorsi, a testimoniare il nuovo corso. Le forze di Damasco già da diversi mesi collaborano con le forze americane e di altri 87 Paesi alla lotta contro lo Stato islamico. All’arrivo, al-Sharaaha significativamente giocato un po’ a basket con Brad Cooper, comandante del Centcom (il Comando centrale unificato delle forze Usa), e Kevin Lambert, a capo delle forze della coalizione internazionale anti-Isis in Siria e Iraq. Fine delle sanzioni, sostegno economico, l’adesione sostanziale alla cordata allargata arabo-moderata degli Accordi di Abramo, lo sforzo comune contro il terrorismo islamico (che farà risparmiare denaro e soldati agli Usa) rappresentano il coronamento dell’ ‘abbraccio’ tra Damasco e Washington.
Trump ha bisogno di Al-Shara perché “è necessario alla strategia mediorientale americana: stringere in una tenaglia l’Iran fondamentalista, da un lato con la pressione ottomana neo-imperiale e, dall’altro, con quella della coalizione araba già impegnata a normalizzare Gaza e pronta ad accogliere la Siria. L’obiettivo è sorvegliare e, in prospettiva, costringere Teheran al cambiamento. E, chissà, una volta sbarazzatisi pure di Benjamin Netanyahu, affidare finalmente la Cisgiordania, come Stato, all’Autorità nazionale palestinese (ex Olp) dell’eterno Abu Mazen, eletto nel gennaio 2005 (come dire: una volta e per sempre).
Se questo è il disegno, le incognite non mancano. Per indicarne solo un paio: quale sarà il destino dei curdi, perseguitati da Erdogan ma guardiani dei gruppi fondamentalisti dell’Isis in aree centrali della Siria e non solo? E la stabilità traballante dell’Iraq – dove si vota --chi potrà assicurarla dopo il ritiro programmato delle forze che ne assicurano attualmente gli equilibri? Equale influenza, terminata la fase post-bombardamento, vorrà ancora avere l’Iran degli indo-europei musulmani di confessione sciita sugli sciiti dell’Iraq, che costituiscono la maggioranza della popolazione?…. Ma lasciamo che per una volta a prevalere sia la speranza, se non l’ottimismo. E chissà per quanto tempo conservarlo.

Commenta scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Il Roma

Caratteri rimanenti: 400

Logo Federazione Italiana Liberi Editori