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L'America e le prove di suprematismo multirazziale

Il tempo dirà se questo nuovo protagonista sarà davvero un sindaco di tutti o solo il simbolo di una mutazione politica

Mamdani nuovo sindaco di New York. Trump: «Io non ero sulla scheda e abbiamo perso»

Zohran Mamdani, l’uomo che promette di “abrogare il white power”, è diventato in poche ore la nuova “icona radical” della sinistra americana. I progressisti brindano, entusiasti: “È così che la sinistra vince”. Per il neo-eletto sindaco di New York si prepara la grande mobilitazione mediatica. Ma davvero è una svolta? O soltanto un nuovo capitolo della lunga parabola ideologica americana?
Donald Trump, da pragmatico, non si scompone: per la metropoli amministrata da sempre dai democratici non c’è novità. Lui non aveva un suo candidato ma appoggiava l’indipendente Cuomo. Mamdani ha vinto con poco più della metà dei voti degli elettori che si sono recati alle urne, spinto da un’alta affluenza favorita dall’adesione di ceti popolari e bisognosi, normalmente astenuti, attratti dalle sue promesse da giovane socialista-musulmano nato in Uganda, figlio di una regista hollywoodiana e di un professore universitario, sposato con un’illustratrice di origine siriana.
Nel discorso della vittoria, il sindaco ha pronunciato parole destinate a far discutere: “New York è la città degli immigrati, ora ha un sindaco immigrato, e sarà la città degli immigrati”. Un messaggio che suona come un discrimine nei confronti dei nativi, una sorta di supremazia rovesciata: non più “white power”, ma “immigration power”.
Sul piano geopolitico, se il modello Mamdani dovesse funzionare, la sua formula potrebbe arrivare in Europa entro un decennio, come spesso accade ai fenomeni americani. Ma l’Italia, con le sue peculiarità economiche e sociali, appare terreno improponibile per un simile esperimento. Lo capiscano, forse, i nostalgici e gli esterofili del Pd: inutile la passerella di Debora Serracchiani alla festa newyorkese, ignorata persino dalla sua leader Elly Schlein, la “pulzella svizzera” dai tre passaporti.
Mamdani ha vinto anche grazie a una comunicazione accattivante, fatta di slogan e promesse: trasporti gratis, blocco degli affitti, edilizia popolare, assistenza gratuita all’infanzia, negozi calmierati, tasse sui grandi profitti. Un “libro dei sogni” che affascina ma ignora il nodo delle risorse e delle norme. Le condizioni dei più deboli migliorano solo con lavoro e sviluppo, non con sussidi permanenti. Il rischio, per la Grande Mela, è quello di ritrovarsi con una minoranza di privilegiati mantenuti e una maggioranza assistita, in un enorme “reddito di cittadinanza universale”.
C’è poi la dimensione politica: Mamdani è musulmano, pro-Palestina, vicino ai movimenti Lgbt. Ma anche in odore di antisemitismo, per le sue parole sul 7 ottobre prive di condanna per Hamas e per il linguaggio che insiste sul “genocidio di Gaza”. Attacca Netanyahu, ma nel farlo si pone spesso su un crinale ideologico che lo espone all’accusa di essere contro Israele e, più in generale, contro l’Occidente.
Il tempo dirà se questo nuovo protagonista sarà davvero un sindaco di tutti o solo il simbolo di una mutazione politica che rischia di travolgere i canoni tradizionali della democrazia americana. Per ora resta l’immagine di un esperimento ambizioso, forse velleitario, che racconta più la crisi della leadership statunitense che la sconfitta di Trump.

*presidente Associazione "Azimut" Napoli
azimutassociazione@libero.it

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