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lettera al direttore

Voto, nulla cambia ancora
Vincono tutti, ma davvero

La vittoria della Sinistra era ampiamente prevedibile e annunciata da tempo

Voto, nulla cambia ancoraVincono tutti, ma davvero

Roberto Fico

Gentile Direttore, come avevo anticipato la settimana scorsa, a proposito di queste elezioni regionali, “nihil novum sub sole”: non è cambiato niente e nessuno “scossone”, né da una parte né dall’altra, è avvenuto. Tutto secondo le previsioni, in cui le tre Regioni chiamate al voto hanno confermato le maggioranze uscenti, modificando solo il nome dei Presidenti, che non potevano più candidarsi avendo già espletato i due mandati previsti dalla legge. Ovviamente – ed era anche facile prevederlo – hanno vinto tutti, Centro-Destra e Sinistra, in base ad arzigogolati ragionamenti che fanno a pugni con la realtà e la logica più elementare. Nella nostra Regione, poi, l’esercizio atavico di “mescolare le carte” è una caratteristica connaturata alla natura dei cittadini, che sono capaci di far scomparire la carta segnata in modo che quella indicata risulti sempre sbagliata. Soprattutto da noi, infatti, la vittoria è stata di tutti: del “campo largo” riferito al duo Schlein-Conte, precipitatisi con i soliti sodali Frantoianni-Bonelli a Napoli per offrirsi raggianti alle tv, manco se avessero vinto in una Regione a guida contraria al loro schieramento; dello stesso schieramento del Centro-Destra, che rivendica il buon risultato complessivo, ben al di sopra dello striminzito 18% ottenuto nelle passate elezioni.
Siamo seri almeno una volta e diciamoci la verità, cercando di fare un’analisi più coerente e onesta del voto. La vittoria della Sinistra era ampiamente prevedibile e annunciata da tempo: nelle scorse elezioni del 2020 il Presidente pieddino De Luca raggiunse quasi il 70% dei voti; il Movimento Cinque Stelle, che correva da solo con la candidata a Presidente Ciarambino, ottenne il 10%. Unendo le loro forze in un’unica coalizione, oggi si dovrebbe leggere un risultato diverso dal 61% ottenuto dal “campo largo”: vale a dire l’80% dei voti, più le altre sei liste collegate che hanno contribuito in modo massiccio alla vittoria. Il Centrodestra paradossalmente potrebbe essere appagato dal fatto che partiva dal 18% della scorsa volta ed ora è giunto al 36%, cioè il doppio. Così motivato il voto, diventa necessario approfondire il dibattito su quanto accaduto.
Nel 2020 si era ancora in piena ripresa della pandemia da Covid-19; il Governatore De Luca, per carattere “decisionista”, ma anche “accentratore”, sembrò l’uomo giusto e salvifico per proteggere il popolo campano e si avvantaggiò moltissimo in termini di consensi. Diventa quindi improponibile il paragone con l’oggi. Lo stesso vale con il Centrodestra, che riuscì nell’improba impresa di ottenere il minimo storico dei risultati elettorali del 2020, con una candidatura osteggiata nei mesi precedenti e, soprattutto, lasciando come solo “uomo al comando” il Presidente De Luca, pur assumendo l’avversario una carica di grande visibilità come “capo dell’opposizione”. Anche per il Centrodestra, quindi, il paragone col passato si scontra con una mutata realtà politico-sociale.
Manca, a questo punto, il “terzo incomodo” della disamina politica: l’astensionismo. I cosiddetti leader nazionali e locali si sbracciano nel commentare la vittoria o la sconfitta, porgendo ai cittadini solo la percentuale ottenuta dei voti, non anche il numero dei voti globali. E qui la discussione è molto più amara di quanto si pensi. In Campania ha votato il 44% degli aventi diritto, meno della metà, per cui il 18% ottenuto dal Pd, ad esempio, di cui la Schlein e i suoi menano vanto, deve essere riferito al 44% dei votanti e non farlo sembrare come un 18% globale. Il risultato reale è che il Pd ha preso appena l’8% dei voti dei campani aventi diritto al voto. E questo vale per tutti i Partiti e liste fai-da-te.
A Napoli, poi, la situazione del disinteresse generale è ancora più drammatica, avendo sfiorato il minimo storico del 39% dei votanti. “Rappresenterò tutto il popolo”, dicono gli eletti al massimo scranno delle elezioni locali (Presidenti di Regione, Sindaci): ma quale popolo? Anche quello del 60% che non vi ha pensato nemmeno, cari neo-protagonisti di una politica ormai minoritaria nel Paese? Un bagno d’umiltà non sarebbe male, ma dove si può trovare umiltà in una classe dirigente politica che pensa al suo personale orticello, anche se tutto attorno ad esso sta franando?
Come si può pensare di invertire la tendenza di una completa delegittimazione delle Istituzioni che si presume di rappresentare se, ad esempio, nel minoritario Centrodestra la vera lotta è stata tra gli stessi partiti maggiori della coalizione per legittimarsi in una posizione di vantaggio al momento delle cosiddette “contrattazioni”? O come si può votare quando il Presidente della Regione uscente invoglia gli elettori a votare qualsivoglia lista della coalizione, purché non sia la lista del suo alleato Mastella (che gli ha dato una bella risposta sul campo, facendo eleggere due consiglieri, risultando anche il primo partito in assoluto nella sua Benevento e Provincia)?
Non ci vuole certo una grande intelligenza, quando da tempo ormai si assiste alla continua erosione della partecipazione al voto, per analizzare i motivi del disinteresse generale. Molti individuano la causa nella sostanziale “distanza” tra popolo ed eletto, specie quando si vota per le politiche nazionali, dove il cittadino vota solo il simbolo di un partito ma non anche il candidato. Sarebbe una spiegazione plausibile se non si assistesse a un’astensione ancora più forte proprio quando, come in queste Regionali, si può finalmente scegliere anche la persona in cui si ha più fiducia. Così non è stato, purtroppo, in queste Regionali, che hanno coinvolto anche la Puglia e il Veneto.
Ed allora? Mi si sta insinuando un dubbio, figlio di esperienze passate, quando c’era una vera competizione politica e una partecipazione almeno dell’80% dei cittadini: vuoi vedere che questa diserzione dal voto faccia comodo un po’ a tutti quelli che vivono di politica? A ben vedere, infatti, i cosiddetti “collettori di voto” hanno assicurato nella propria “cassaforte” elettorale un “pacchetto” di voti accumulati da anni di buon vicinato o parentela, o favori. Se d’improvviso dovesse finalmente “svegliarsi” la coscienza civica del popolo silenzioso e rassegnato, con la guida di autentici fautori di sana democrazia, non ci sarebbe storia per nessuno: nemmeno per i “campioni di preferenze”!

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